Le cose di cui non si parla



Gli zingari non parlano mai dei loro morti. Tacciono sulla morte semplicemente perché rifiutano la memoria, negano l’esistenza del tempo.
La vita è eterno presente. Anche per questo si sa pochissimo del loro Olocausto, forse seicentomila vite passate per il camino, sepolte in fosse comuni, annegate nei fiumi, tra il Baltico e il mar Nero. Non è accaduto solo perché la storia la scrivono gli stranieri. È accaduto anche perché il Rom non vogliono ricordare.
Fatima, la nonna si ricorda il profumo della terra nelle buche scavate con le unghie. E dentro nella buca nascosta, un gran fuoco. Tante coperte, tanti bambini. Poi tace. Di morte non si parla.
Le cose di cui non si parla sono proprio le più importanti.
L’oblio sullo sterminio non è dimenticanza, ma una scelta. Un’arte. Hanno lasciato partire quelli che non dovevano più tornare.
Sono zingari cattolici ma il prete non si avvicina neanche al loro campo.
Si giustifica. Dice, è l’uomo che  deve andare verso Dio, non Dio verso l’uomo.
A Jarovnice, la colonia più grande dei Rom in Slovacchia, qualche anno fa il fiume si è portato via le baracche, assieme a 45 persone, quasi tutti bambini. Anche allora gli slovacchi non hanno voluto gli zingari nella loro chiesa. Piuttosto, ne hanno costruito una solo per loro, usando soldi austriaci, destinati alle vittime dell’alluvione.