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racconto FAMIGLIA



° Gli abitanti della zona V. sono bassi, grassi e coperti di pelo.
Hanno i piedi così straordinariamente piccoli che cadono facilmente
e quando riescono per caso a camminare sono goffi, lenti e ridicoli.
Pertanto,  chi vuole colpirli con pallottole di fucile o di pistola,
è facilitato nel compito.

° Quelli della zona V. hanno le orecchie così grandi che quando dormono
non hanno bisogno di coperte né di pigiama. Si riparano con esse.

° Le persone della zona V. sono di tale fetore e pestilenza
che non riescono neanche a sopportarsi tra di loro,
e quindi non hanno contatti, non si accoppiano. Sono destinati a scomparire.
                                                                                                                                                                                                            (F.L.M.)

Personaggi e interpreti:

IO
TU
PADRE  
MADRE 
SORELLA
FRATELLO 
ZIA 


1. Fratello

   Il mio amato fratellino nacque da uno stralunato agricoltore che era sempre in crisi di debiti e da una donna della quale si ricorda la sua spiccata abilità culinaria. Il padre lo abbandonò quando aveva solo sei mesi e la madre alla immediata vigilia del suo quinto compleanno. Era rimasto solo e se lo accollò uno zio che lo portò con sé in una fattoria del Missouri (a dire la verità era nella bassa padana in provincia di Cremona). Lì gli insegnò a mungere le vacche e ad arare i campi. Ma mio fratello si annoiava da morire perché lo zio non aveva figli e non c’erano altre fattorie nelle vicinanze. Per questo motivo al mio amato fratellino spesso gli montava una tale rabbia che per calmarsi spaccava con l’ascia una montagna di legna. A suo zio poco importava della rabbia, bastava che ne spaccasse almeno tre quintali per volta perché a lui facevano  male le braccia. Sono convinto che da parte sua mio fratello avrebbe volentieri spaccato qualsiasi altra cosa gli fosse capitata a tiro nei suoi momenti topici. A forza di inveire, gridare e spaccare, convinse suo zio a mandarlo a scuola lontano dalla fattoria. Lo zio, conoscendolo, lo iscrisse ad una scuola per disadattati mentali. Lui quando se ne accorse si arrabbiò così tanto che spaccò con un solo colpo di spranga la vetrata di entrata della scuola che era tre metri per sei. Da quel momento sia il preside che i professori erano tanto terrorizzati e lo temevano, che non si permisero mai più di dargli il benché minimo fastidio. Comunque quando diventò adulto e ricco (poi vi spiego come) si ricordò di quella scuola e poiché si trovava a passare da quelle parti pensò subito di fare un salto fin là per il gusto di spaccare di nuovo la vetrata che nel frattempo era stata chiaramente sostituita. Poi pensò anche di mandare alla scuola un assegno in segno di riconoscenza, ma pur scervellandosi non riuscì a trovare un solo motivo valido per farlo. Optò, così, per la prima soluzione ma introdusse una variante. Arrivò fino all’ingresso della scuola con la sua auto, abbassò il finestrino, e sputò con tutta la sua forza, riuscendo in modo esemplare a centrare proprio l’altezza della serratura.
   Ma il mio povero fratellino ne passò di cotte e di crude. Proprio in quel periodo si mise a frequentare gli ambienti più malfamati e degradati del posto, diventando ben presto conosciuto per la sua abilità a scatenare risse e a far degenerare qualsiasi colloquio, contatto, relazione con chiunque. Aveva appena compiuto sedici anni che sua madre [che donna!] si ricordò di lui con un telegramma. Non voleva saper come stava, ma lo invitava al suo imminente matrimonio. C’era accluso un biglietto di pullman per New York (o forse era solamente Milano). Lui che non aveva mai visto la grande città e ansioso di farlo salì sul treno (aveva provveduto a cambiare il biglietto). Fatto sta che invece di giungere nella grande mela o nella città bevibile, avendo conosciuto in treno un suo coetaneo si imbarcò a Genova su una nave mercantile improvvisandosi mozzo, cuoco e addetto al controllo merci. Una volta in mare aperto provò un senso di libertà come non lo aveva mai provato. Nello stesso momento conobbe il valore della solidarietà e dell’amicizia grazie al coetaneo conosciuto in treno che era di Genova. Si chiamava Edoardo.
   Passò appena un anno e Edoardo che covava dentro di sé il demone della poesia avanguardista e che sarebbe diventato di sicuro un grande poeta, si tolse la vita. L’episodio sconvolse talmente mio fratello che decise di arruolarsi nell’esercito. Ma sottostare alla dura disciplina non era il suo forte e infatti passò più tempo in prigione che in libera uscita. Poi venne il giorno del suo riscatto quando cinque suoi commilitoni rimasero intrappolati in un incendio scoppiato nell’ala del magazzino destinata alle coperte e alle lenzuola. Lui, sprezzante del pericolo, vedendoli terrorizzati, si lanciò tra le fiamme, sfondò con un solo colpo una porta che stava in fondo al corridoio facendoli uscire direttamente all’aperto nel cortile. Tutta la caserma lo portò in trionfo. Ed egli si congedò nel pieno del successo, preferendo vagabondare in cerca di un lavoro.
   Fu così che fece il lavoratore stagionale nella raccolta dei pomodori in Campania, il gondoliere a Venezia, il fattorino a Milano dove era giunto perché si era innamorato di una modella. (In questo periodo fece anche il camorrista e il giocatore professionista di poker). Poi finalmente gli arrivò il colpo di fortuna. Giocò al superenalotto e vinse più di dieci milioni di Euro. Nel giro di tre o quattro anni si sposò tre volte (sempre all’estero), ma furono matrimoni brevi e sempre improntati all’uso della violenza. Tra un matrimonio e l’altro disse che tutti gli uomini sposati hanno provato almeno una volta la sensazione di non sopportare neanche il respiro della donna che hai accanto e allora significa che è venuto il momento di smetterla.
   Il carattere insofferente e ribelle nonostante la ricchezza non si addolcì neanche un po’. Anzi. Ebbe una crisi depressiva che combatté a modo suo: con droga e alcol. Si fece crescere la barba e ingrassò di quindici chili. Passava il tempo a cavallo della sua moto, girovagando da una città all’altra, insieme ad un gruppo di centauri a cui offriva denaro e ospitalità.
Una sera scoprì di essere malato. Un medico dell’ASL a cui si era rivolto gli diagnosticò una rara forma di tumore provocata dalla prolungata esposizione all’ASBESTO. Maledisse i mesi che aveva trascorso sulla nave, praticamente ogni momento a contatto con il carico di quel materiale stivato nella pancia dell'imbarcazione.
   Come al solito non accettò i consigli del medico che gli aveva diagnosticato il cancro e decise di curarsi a modo suo. Si trasferì nelle montagne dell’avellinese dove un medico tipo santone aveva ottenuto risultati miracolosi in casi analoghi al suo. Si mise totalmente nelle sue mani e per tre mesi ingurgitò oltre cento pillole al giorno sottoponendosi ad estenuanti iniezioni di cellule di capra. Era sicuro di farcela anche questa volta. Morì sotto i ferri del suo medico che gli stava cercando di estrarre una metastasi dall’addome. Le sue ultime parole furono:
" La vie est una merde." 

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2. Sorella

   La mia cara sorellina ama i tacchi a spillo. Dice che sono un invito, una seduzione, un turbamento; che fanno fremere qualcosa nel profondo.
   “Sono una magia e infilarle al piede è come fare l’amore. Le infili,” è sempre lei che parla, “e la schiena si raddrizza, il sedere si mostra, il petto sobbalza in avanti sodo e sfacciato. Le metti per farti guardare, sai che ti guarderanno, gli uomini (mascalzoni).”
  
   Un sociologo americano ha detto (pari pari) che chi usa o ama i tacchi a spillo vuol far capire che lei non lavora. (Del resto sarebbe un po’ difficile). Che non è una colf e che è lei stessa un oggetto di lusso. Dunque – inutile. Il sociologo ha detto anche (ero ad una conferenza e ho perso il nesso) che l’uso delle mutande si diffonde nell’Ottocento. Prima le donne erano nude sotto. Ha detto poi, sorridente e accattivante, che Imelda Marcos, Evita Peron e Mistinguett (e pure un’attrice italiana di cui non ricordo il nome) ne possedevano a migliaia. Ha continuato poi, serio e non più sorridente, che nell’accessorio delle scarpe c’è qualcosa che ha a che fare con il desiderio, che non è mai soddisfatto perché si rigenera ogni volta in vista dell’amato, in questo caso dell’oggetto bramato.
   Io una volta a casa ho riferito tutto a mia sorella. 

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3. Fratello

   Mio fratello si chiama Ernesto. È un po’ strano, si stanca subito di tutto. Dopo poco tempo, ecco che è bell’e scemato il suo entusiasmo iniziale. Punto e daccapo: si annoia. Praticamente è ancora molto giovane e non so che cosa farà, ma sono convinto che nella vita non vorrebbe fare un bel niente.
   Dopo un viaggio mi ha preso da parte, mi ha guardato negli occhi e mi ha detto parole più o meno di questo genere:
   La notte guardavo il mare immenso, percorso da riflessi biancoverdastri, appoggiato al parapetto, ma lontano da tutti, volando sul mio aereo verso le stratosferiche regioni del sogno. Lì ho capito che la mia vocazione, la vera vocazione, era viaggiare in eterno per le strade e i mari del mondo: eternamente curioso,  osservando tutto ciò che potesse comparire davanti alla vista, annusando ogni angolo, ma sempre con discrezione, senza piantare radici in una sola terra, né fermarmi a studiare il substrato di qualcosa. La periferia…, la periferia mi basta.”

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4. Io

   Una sera che avevo bevuto più di una birra al doppio malto (non c’è abitudine, né frequentazione all’alcol) me ne tornavo a casa con passo dondolante e il mio solito fascio di fogli scritti sotto il braccio. All’improvviso – non so come, né perché – inciampai e tutti i fogli mi scivolarono a terra. Dovetti per forza raccoglierli se non volevo perderli. Del resto quello era il frutto del lavoro di tutto il  pomeriggio (a questo ci arrivavo senza problemi). Fu così che mentre raccoglievo lentamente i fogli cominciai a leggere parole sparse prese chi da un rigo chi da un altro. Ed ecco che le mie amate parole mi apparvero di una bellezza indescrivibile, erano così intrise di ardore e di passione che mentre le leggevi  lo trasmettevano in una forma pulita, chiara, semplice, evidente. Mi fermai per molto tempo lì dov’ero colpito da quello che mi stava accadendo (ero sotto la luce di un lampione e non si vedeva poi tanto bene).
   Dopo a casa cercai di leggere le parole in riga così come le avevo scritte, ma non vedevo che un ammasso di lettere alla rinfusa il cui contenuto mi era francamente incomprensibile. Trovai la chiave del mistero il giorno dopo (e dopo averci dormito sopra). Capii che bisognava leggermi quando si è almeno leggermente brilli e non si fa tanto caso alla successione lineare delle parole.
   Da allora seppi, in modo definitivo, che  qualsiasi contenuto nuoce alla mia scrittura.
[K]

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5. Sorella

   “Veramente, c’ho due case: una fuori Roma e una a Milano. Qui ci lavoro anche, in centro. Non faccio per vantarmi, ma io le vacanze non le faccio. Io sono un imprenditore, che me ne faccio delle vacanze? Mi sono presa la maturità a 14 anni e a venti mi sono laureata in economia internazionale. Mia madre era un’insegnante e mio padre faceva i botti con la bocca, bum–bum, (scherzo). Era un imprenditore di botti per il barrique. E quel bum che gli rimase in gola quando nacqui, (ero femmina), mi sta ancora sullo stomaco. Ma gliel’ho fatto vedere io di cosa è stata capace la sua figlioletta, (tà-tà). Ho fatto sia la manager sia l’imprenditrice, tiè!
   L’Italia è un paese stupido, non si capisce niente. Ho fondato proprio ora il primo mensile di economia e finanza immobiliare. E sapete perché? Perché in Italia non si capisce niente. L’Italia è l’unico paese in Europa dove non si capisce e non si conosce la disponibilità, i prezzi e i meccanismi del mercato immobiliare. Il mio paparino era italiano, tanto per dire. Non si capisce niente, lui  faceva solo ‘bum bum’ con la bocca. In tutto il mondo per crescere e svilupparsi si usa la trasparenza e l’informazione. In Italia ci si affida alle conoscenze e alle trattative private.
   Ho iniziato così: ho presentato un  progetto di sviluppo del turismo intorno al vino e la banca mi ha finanziato una società (in Italia non capiscono niente). Effettivamente, io allora ero in Francia. La mia società organizzava eventi, comunicazione, rapporti con la stampa. In sette anni ho raggiunto il fatturato di sei milioni di euro, con 18 dipendenti e sedi in tutte le principali città della Francia, e con clienti dell’ordine di  Philippe Morris France, Sony, Barclays Bank, Volkswagen. Ero molto giovane, ho strappato da sola i peli dalla mia fica. Ero intraprendente, ambiziosa, non vedevo limiti. E avevo anche una marcia in più: infatti, ero arrogante, avevo grinta ed ero fortunata, oltre che incosciente. Oggi, a quasi trentasei anni, non so se farei tutto quello che ho fatto.
   Dopo, ho fatto questo ed altro. Non è finita mica qui? Ho aperto 25 centri commerciali in tutte le più grandi capitali del mondo ed ho vissuto per quattro anni in albergo: con il mio pc e il cellulare (mio).
   Poi un giorno ho detto ‘basta’. In Italia non capiscono niente, ma mi mancavano gli affetti e così ho accettato l’offerta di una società di aprire il primo portale immobiliare paneuropeo. Ho deciso in un istante di scegliere l’Italia per stabilirmi. E così vivo. Lavoro solo e corro. Correre mi serve, ne ho bisogno per sfogarmi. Però mi sono stufata di togliermi i peli dalla fica da sola, (in Italia non capiscono niente).
    Ciao papà!”

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6. Madre

   “Il documento che ho stilato insieme alle mie amiche deve essere preso in considerazione.
   Le regole del pornodogma sono sette o otto. Ci vuole per prima cosa una storia erotica che nasca dalla nostra fantasia, quella femminile o da situazioni della vita quotidiana. Poi c’è bisogno di enfatizzare passioni, sensazioni, sensualità, intimità, basarsi sul piacere e sul desiderio della donna. Ci deve essere un andirivieni tra vicinanza e distanza, sapendo che i piaceri dei preliminari sono sempre i migliori. I corpi vanno mostrati in tutti i loro dettagli erotici, facendo vedere anche la bellezza del corpo maschile e non solo e sempre svestito. È sempre gradita un poco di sensualità old fashioned, vale e dire una spalla o un ginocchio nudi possono essere molto eccitanti. Un po’ di humour iniziale va bene, mai però durante l’atto sessuale. Bene anche le fantasie femminili in cui una donna immagina di essere stuprata da uno sconosciuto, e anche scene con un poco di brutalità. Mai scene con donne che subiscono coercizioni contro la loro volontà. Quello che odiamo è vedere una donna costretta a fare una fellatio (quello che piace di più nei film meglio venduti in Italia).
   Questo è il porno che piace a noi donne.”
   Questa è mia madre. 

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 7. Io (lettera da N.)

   “Caro Gennaro,
grazie per la tua lettera affettuosa con la quale mi dici di tornare nella zona V., ma di ritornare ormai non è più cosa. Tu lo sai se mi sento o no di S.V., ma non mi posso muovere da N. Qua c’è la nebbia. Sto avvolto nella nebbia dalla mattina alla sera. Sento di avere la testa fra le nuvole. Se tu sapessi che cos’è la nebbia. E che fastidio! Sai che mi capita? Succede che quando sto insieme alla mia donna, camminiamo abbracciati in questa specie di acqua e anice, vino e gassosa, whisky e soda, gin e tonic, rum e birra, coca cola e aranciata, e ci baciamo per ore in mezzo alla strada. E se qualcuno dice qualcosa non lo calcoliamo proprio.
   Mi parli del mangiare, mi chiedi, come fai, chi ti cucina, che ti mangi? Beh, ti devo dire che la pasta e specialmente i maccheroni ci stanno anche qua, non ci mancano mai nei supermarket e nei centri commerciali, e poi in questo paese c’è una specialità che spesso la fanno (cucinano): la chiamano ‘risotto alla n.’. Chissà perché?
   Caro Gennaro, te lo ripeto, quando vado abbracciato con la mia fidanzata, che non è la mia donna, (bada bene) infatti è bionda; la mia donna è rossa. Io comunque per non confondermi, parlo a tutte e due del cielo e del mare di S.V. E proprio allora mi prende una grande malinconia, tanto che vorrei tornare per baciare qualcuna, ma ormai da voi, lo so, non mi aspetta più nessuno. Anzi, mi vogliono morto. Questo dovrebbe liberarmi un po’, e infatti succede. Solo che poi… la nebbia, (quanta è brutta la nebbia!), quando sto insieme alla mia innamorata che non è la mia donna e non è neanche la mia fidanzata, (infatti lei è verde, ha i capelli verdi), e anche con lei vado abbracciato in questa specie di birra e pepsi, aceto e limone, marsala e uovo, cognac e champagne, aranciata e chinotto, e lo stesso ci baciamo per ore ed ore in mezzo alla strada, ubriachi fradici. Anche di malinconia. I maccheroni (già lo sai), ci stanno pure qua, e poi c’è il risotto alla n., come ti ho già detto, ma non voglio dilungarmi.
   Ora si è fatto tardi. Io ti saluto, ti prego di baciarmi il  mare (come cazzo farai non lo so). Il mare…, oh mare! E per favore, dici a questa città che io verrò ancora, appena tengo i mezzi per sposarmi e poi divorziare dalla mia donna. E dopo aver convinto a starsene buona la mia fidanzata e aver affidato al centro di igiene mentale la mia innamorata, prendo la circum e vengo. Io, ti assicuro, vengo. Stammi bene!” 

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8. Padre

   “I miei mobili?”, il mio papà fa il falegname, “…nascono perché io firmo un contratto, prendo un anticipo, non lo voglio restituire e devo fare i mobili. Può sembrare un moto spiritoso invece è la pura verità. Io non credo alla libertà totale nella creazione. Il creativo, lasciato in questa dimensione di totale libertà, tenderebbe a non fare niente. Se c’è una cosa pericolosa per un artista è proprio la libertà totale, cioè l’attesa dell’ispirazione di tutta questa retorica così romantica. Ma, l’artista, psicologicamente, è un trasgressore. È uno che ha bisogno bambinescamente di trasgredire e quindi per trasgredire ci vogliono dei genitori, un preside, l’arciprete, la polizia. (F.)”

8. Padre

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9. Io

   Io, come al solito, per la riunione non sapendo come vestirmi, mi ero messo (guarda un po’) la cravatta. Non da sola. Sotto la giacca e sopra la camicia. Insomma, ero a posto. Così mi sembrava che dovessi essere vestito per una riunione.
   Ci presentiamo in questo ufficio e il famoso capo era già là. Seduto dietro la scrivania che giocava con una palla. Era una palla da basket ma più piccola del normale. La lanciava in aria e la prendeva. Continuamente. Ed era vestito che indossava un paio di occhialetti da sole e un cappello da baseball. 

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10. Sorella

   La mia sorellina americana è un ‘ministro di culto’. Sta nell’esercito della salvezza, ed è una vera fortuna. Loro operano in 109 Paesi con un personale di 25 mila 600 ufficiali, predicano il vangelo in 175 lingue in 15 mila 456 centri evangelici e gestiscono 6 mila 830 istituzioni sociali.
   Ed ora veniamo a noi. La mia brava sorellina fa parte di una vera e propria multinazionale della fede. Vige un libero mercato del sacro, dove ogni culto cerca d’imporre la propria griffe nel consumo del divino. Così che le religioni sono costrette a innovare, a modificarsi. Sorgono, prosperano e declinano in un incessante viavai che cerca di insinuarsi nel mercato del sacro.
   Così trovi ‘I camionisti di Cristo’, poi ‘I motociclisti di Dio’, e ‘I gay di Dio’. Ogni setta religiosa tende a conquistare qui, in America, le anime con le stesse tecniche con cui i detersivi seducono le massaie, e i telepredicatori non differiscono molto dai nostri televenditori di tappeti. È un’area che ha fuso in un’unica attività il missionariato e la pubblicità, l’apostolato e il marketing: Dio è offerto in promozione – tre al prezzo di uno.

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11. Madre

   Mia madre è inafferrabile, atipica, piena di contraddizioni. È seria, buffa, saggia, attempata e infantile. Colleziona di tutto: sassi, piume, quadri, vecchi spaghi. Come i bambini. Mia madre è un’intellettuale. Per avere ispirazione ricorre alla logica paradossale di Duchamp: chiude gli occhi e canta. Dice che bisogna trovare qualcosa che faccia sparire i nostri filtri, che apra le porte, che dia un po’ di brivido. E che, soprattutto, sia falsa.
   La mia mammina rappresenta le cose non come sono ma come le sente. Fraintende, e fraintendendo fraintendendo, tra immagini e menzogne, dice menzogne più sincere della verità.   

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12 Tu

   Essere in grado di strabiliare il mondo. Tu volevi strabiliare il mondo. Questa espressione mi rallegrò molto. Io personalmente non avevo mai sentito il bisogno di strabiliare il mondo. E nemmeno il mio amico Vincenzo.
   Con davanti un bicchiere di acqua minerale, volevo rileggere dopo vent’anni “I dolori del giovane Torless” di Musil, ma non ci sono riuscito, dopo aver letto una pagina già non son più capace di andare avanti. Le descrizioni non le sopporto più. Né potevo d’altra parte passare tutto il mio tempo con Pascal: i suoi 'Pensieri' li conoscevo a memoria e il piacere del suo stile si esaurì in breve tempo. Perciò, mi accontentai di osservare il paesaggio. Che, a dire il vero, non era granché.

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13.  


Sorella


   “Ho trentanove anni e sono erede di una famiglia di industriali che produce spazzole per scarpe. Avevo un’azienda di quasi cento dipendenti e il mio fatturato era pari a XXXXXX milioni di Euro (il fisco).
   La mia faccia da madonnina e i capelli biondi e sottili, nascondono altro. Beh, il mio look è aggressivo, come il mio carattere. Mi piacciono i tailleur gessati ma con gonnelline corte e strette, con canottiere senza spalle senza niente sotto, in modo da mettere bene in mostra le mie tettine. Ogni tanto le scuoto (le mie tettine), quando sono sola. A volte me le tocco. E così ad un certo punto ho deciso di mollare tutto e di darmi a qualcosa di nuovo. Prima ho inventato un’agenzia di viaggi; poi, dopo, un tour operator con mete come Sardegna, Francia e Spagna. In un anno ho venduto 14 mila pacchetti per la Sardegna e 10 per la Francia, con un giro di affari di XXXXXX milioni di Euro (il fisco).
   Ho due figli, Sara e Federico, che non vedo quasi mai: sempre a correre da una spiaggia all’altra, a cercare alberghi e location.
   Sono testarda, orgogliosa, permalosa, intraprendente e determinata. Più che capricci, da bambina me ne andavo nell’azienda di mio padre che era stata di mio nonno a vedere come si lavorava ad imparare quello che avrei voluto fare io.
   Prima mi diplomo da ragioniera e porto i conti in azienda. Poi voglio fare di più, diversificare l’azienda. Gli altri un poco mi seguono e un poco no. Io raggiungo tutto quello che secondo me c’era da raggiungere. Faccio qualche proposta ma non mi ascoltano. Voglio fare qualcosa di mio. Allora comunico a papà che passerò a ritirare la liquidazione. Sono diciotto anni di lavoro. Prendo XXXXXX milioni di lire (l’Euro non c’era) e tutti quei soldi li investo in una agenzia di viaggi.  Ora porterò a termine a qualunque costo l’impegno che ho preso. Sono fatta così, considero le società che gestisco come esseri viventi. Ora, per esempio, ho davanti una spiaggia infuocata che devo attraversare, a piedi scalzi. E lo farò.”

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14. 

Io

   Mi è venuta l’idea di scrivere qualcosa su mio padre. Che cosa - non potevo saperlo. Qualcosa su lui e sul suo strano modo di vivere...
   Con questa idea in mente camminavo in lungo e in largo e di traverso per X e dintorni e alla fine passò un decennio intero senza neanche cominciare a scrivere (niente) su mio padre. Cominciare uno scritto è la cosa più difficile che esista e io mi sono aggirato per mesi e per anni con l’idea di uno scritto che non riuscivo a cominciare. E così è accaduto anche per mio padre, il quale, come allora pensavo, doveva assolutamente essere descritto, ma solo da un testimone competente della sua vita e della sua attività giornaliera; da un testimone competente della sua mente bacata.
   Il problema è che quando si comincia si deve pure continuare. Sarebbe bello se uno iniziasse a dire, magari due o tre cosette, e poi andasse al bar a prendersi un’acqua minerale e un caffè, e intanto il computer (scrivo al computer) andasse avanti da solo. Che bellezza! E invece, no. Se mi alzo solo per andare in bagno, il computer resta fermo. Anzi, dopo che sono passati due minuti, esce lo screen saver con il cielo stellato (l’ho scelto io) e dopo cinque minuti lo schermo diventa nero, perché il computer va in bassa tensione. Insomma, quando torno, lo schermo è inesorabilmente nero.

racconto FAMIGLIA


15. 

Io


  Io non voglio dimostrare niente. Sono finiti i tempi in cui volevo dimostrare. A chi,  poi? Ora voglio solo mostrare. Che vuol dire ‘far vedere’, ‘toccare con mano’, ‘leggere’, ‘soppesare’, ‘valutare’… in fondo. 

racconto FAMIGLIA


16. 

Sorella

   “Io quando avrò cinquant’anni vorrò fare qualcosa di buono per il mondo. Ora, per altri diciassette anni (oddio! si sarà capito che ho 33 anni) voglio continuare a fare quello che faccio ora. Cioè, dodici ore di lavoro al giorno nel mio ufficio.
   Ora mi descrivo un po’: sono abbronzata, con lunghi capelli e occhi di carbone, porto jeans e maglietta nera. Je suis la signora della finanza, ma non amo affatto la finanza. Beh, comprendetemi, sono un poco stupidina. Cioè… no, cioè… sì, voglio dire… che io tento di portare l’etica nel mondo delle imprese. La qualità di un’azienda insieme alla sostenibilità dello sviluppo saranno i punti di forza dei futuri investitori. Futuri. Avete sentito bene. Per ora - non se ne parla.

  Se volete vi racconto un po’ di me. Va bene, se proprio insistete, vi racconto un po’ di me. Ho studiato per perito aziendale e corrispondente in lingue estere. Pensavo che non mi sarei mai laureata, e invece alla fine mi sono laureata in economia e commercio con la lode e sono finita con una borsa di studio in Svizzera, al Crédit Suisse. Poi volevo tornare in Italia e sono finita a Milano. Poi in Sardegna, da mia madre che stava male. Lì, tanto per fare qualcosa, ho lanciato il primo negozio finanziario. Ho raccolto un sacco di miliardi in pochi mesi. Il Crédit Suisse mi chiama di nuovo a Zurigo. Da lì gestisco tutta una serie di affari in giro per l’Italia. Ho dormito per anni quattro ore per notte. Ogni notte in un albergo diverso. In quel periodo l’ultimo mio fidanzato non ha resistito. Ha detto:
   “O ti fermi in un solo albergo o con me è finita.”
   Io ho detto ma vaff…. che non è proprio il massimo delle femminilità, ma è efficace.
Ed ora sono single. Mi trovo bene. Ho fatto le ultime vacanze a Ischia con mia mamma, ho tanti amici e viaggio appena possibile. Il lavoro non sono le dodici ore al giorno, è che non stacchi mai con la testa. Ma fino a quando avrò tante soddisfazioni,  andrò avanti così.”

racconto FAMIGLIA


17 

Tu

   "In tutta la tua vita, Werth., hai sempre e soltanto voluto primeggiare, ma non ti è mai riuscito di primeggiare sotto nessun aspetto e in nessuna circostanza."
    Ed è proprio per questo che si è dovuto togliere la vita, pensai. Glenn non sarebbe mai stato costretto a togliersi la vita, pensai; Glenn infatti non si è mai sforzato di primeggiare perché sempre e dovunque e in ogni circostanza è risultato il primo. Werth. voleva arrivare sempre più in alto benché non ne avesse le premesse, pensai, mentre Glenn aveva tutte le premesse per arrivare ovunque.
   Quanto a me (benché in questo campo non mi ritenga della partita) posso dire che mi è capitato molte volte di avere tutte le premesse per fare le cose più svariate, ma perlopiù, del tutto consapevolmente, ho preferito non sfruttare queste premesse per indolenza o arroganza o tedio o pigrizia. Werth. invece, per tutto ciò che ha affrontato non ha mai avuto le necessarie premesse, non le ha mai avute per niente, (come si suol dire). Per una cosa soltanto ha avuto tutte le premesse – per essere un uomo infelice. (B)

racconto FAMIGLIA


  18

  Sorella

   Mia sorella è nata in Brianza, ma poi è cresciuta in Sudafrica. La sua stretta di mano la dice lunga sul suo carattere. È energica e determinata. Anche se ha messo al mondo una figlia – non è mai stata una mamma come la intendiamo noi, del genere italico. Il suo lavoro l’ha portata in giro per il mondo: Parigi, Roma, Miami. Il marito si è occupato sempre di tutto quello che tocca ad una madre. Lei non ha mai avuto un incontro con i professori e non è mai andata ad una visita dal pediatra. Hanno fatto così, si sono scambiati i ruoli, si sono seduti al tavolino e hanno stabilito chi aveva più possibilità di fare carriera. Capito che era lei quella che era messa meglio e il marito ha fatto la moglie e ‘buonanotte’.



racconto FAMIGLIA


19 

Sorella

   Mia sorella pensa che a bloccare le donne non sia la società, ma le donne stesse, quando si tirano indietro davanti alle grandi responsabilità o alle strade non sempre asfaltate. Lei è tra le 10 Top Women d’Europa nel settore dei viaggi. Ha figurato tra le 200 donne più importanti della classifica stilata dalla rivista Travel Agent. È, tra dieci uomini, l’unica donna a far parte del direttivo mondiale della sua azienda.   
   Raramente dorme due notti di fila nello stesso letto. Viaggia molto sia in Europa che negli Stati Uniti, per riunioni interne o contatti con grandi clienti. Ha due case: una a Parigi e una a Roma. Qualche week-end, invece di ricongiungersi con i suoi, se ne sta da sola a recuperare il sonno, mentre sua ‘moglie’ (che è poi suo marito), tocca il cielo con un dito e si da alla pazza gioia. Mia nipote – non so.
   Di viaggi e sport e di tempo libero non ne vuole neanche sentir parlare. Ha voglia di lottare, di fare, di avere successo, di dimostrare a se stessa di potercela fare.
   “Questo lavoro non lo faccio solo per lo stipendio, lo faccio perché mi dà soddisfazione”, dice.