C’è questa specie di ingorgo, qui, nella mente, nella zucca,
nella crapa, nell’essenza, nella vita, nelle foglie e negli alberi, nel senso,
nel profondo, nella solitudine, nel sole, nell’aria, nell’acqua pulita, e dove
cazzo volete (o dove volete, cazzo!).
Sarebbe che per essere felici e contenti dovremmo diventare
tutti uguali: sorridenti. Ora io dovrei cominciare a parlare dei denti, delle
difficoltà che ho di tenerli puliti, dei dentifrici, degli spazzolini, ecc., ma
non mi va.
Io sto con il Serio, fino in fondo, costi quel che costi. Fino
al malore che mi ha colpito quando ho sentito del suo malore, lì, sul palco.
Sto con lui anche dopo. Fino (anche) a quel pomeriggio di agosto nella piazza
padovana quasi deserta a commemorare solitario un luogo. Seduto a fumare due o
tre sigarette, in silenzio, in suo onore. Con lui, l’Enrico, contro l’ex
Calvo (rifatto), sempre.
“è un’ingiustizia, una prepotenza, un sopruso!”
La voglia di non arrendersi con la ridotta della diversità,
austerità, questione morale, chiusura verso una realtà troppo semplice. Abbiamo
sbagliato ora siamo come tutti (voi), arrivederci e grazie. Fuori i denti e
via. Ma come si fa?
Questa specie di modernità molto antica, già conosciuta: che
voglia - che sfizio - c’è a praticarla? a non coltivare più niente, a
distruggere campi di grano per il gusto di farlo e perché qualcuno ha detto che
servono caramelle. Caramelle e sorrisi. Chiudendo tutte le strade, anche quelle
che portano fiducia, speranza e volontà di vedere le cose da punti di vista
diversi.
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