La scuola italiana è senza prospettive. Un'affermazione del
genere aleggia sempre di più nelle notizie sul nostro sistema scolastico e
porta con sé un carico di pensieri che risulta molto pesante. E quand'anche si
voglia cacciar via il pessimismo, resta poco e nulla su cui contare, su cui
scommettere.
A far pendere il bilancino dal lato del pessimismo, diciamo
così, contribuisce anche (non poco) questa notizia: nel programma del futuro
governo tedesco di larghe intese (come da noi?) c'è la promessa che si tradurrà
in realtà (loro sono così, hanno il piccolo difetto di far seguire i fatti alle
promesse) di investimenti in infrastrutture e in istruzione. Abbiamo capito
bene, loro investono nell'istruzione, sapendo che poi l'investimento darà i
suoi frutti. Noi oltre che tagliare, al limite non investiamo, e questo da
anni, perché qualcuno ha deciso che il futuro dei nostri figli e nipoti non ci
interessa più.
Quindi, a differenza di altri che ci tengono al loro sviluppo,
nell'assoluta indifferenza noi stiamo tagliando il futuro a generazioni intere
con una superficialità che fa paura. Per capire la gravità della nostra
condizione, proviamo ad immaginare la nostra scuola tra qualche anno. Buio
totale. Bisogna fare esercizi di fantasia assolutamente acrobatici per
intravedere una qualsiasi forma, che naturalmente sarà sconfessata, perché
nella realtà non esiste nulla che faccia prevedere qualcosa di positivo. Ci
avvolge un vuoto assoluto che si respira con grande normalità. Ed è grave che
sia le forze sociali che i partiti non abbiano un'idea di scuola da proporre,
che non si abbia in mente quale scuola sarebbe giusta per il nostro paese. È da
anni che tutti, in tutti gli schieramenti, si limitano ad amministrare il
contingente, a rimediare i disagi, ad aggiustare alcuni particolari del sistema
educativo. Ma si fa solo questo. Che è certo importante, ma non basta. Il
futuro e lo sviluppo del nostro sistema scolastico risultano pesantemente
assenti.
Sul fronte sindacale anche se in forme scoordinate, nel senso
che ognuno porta in piazza la sua singola manifestazione, continua la protesta
in primo luogo dei precari. Bussano alla porta ormai tutte le varie forme di
precariato che siamo riusciti a costruire nel tempo all'interno del comparto
scuola. Urge, sarebbe utile, anche in questo campo un coefficiente di chiarezza
più netto e determinato. Qualcuno che indichi la strada e che una volta presa
una decisione la porti avanti senza tentennamenti. Ma, qui, siamo nel campo
della pura illusione: il fatto certo è che nessuno sa come uscire da questa
situazione. Il fallimento della politica in questo campo è totale. Spostando il
problema sempre più avanti e dando la colpa a quelli di prima, si è giunti al
capolinea. Tutti appiedati, ma nessuno si muove. I sindacati, che si dividono
portando ognuno la propria fetta di protesta, certo non aiutano. 
Una piccola annotazione sulle proteste che gli studenti in
alcune città italiane stanno portando avanti. A Roma, a Napoli e a Bologna, ma
anche in altre città italiane, non in tutte, ci sono varie scuole occupate. Gli
studenti, si sa, vogliono tutto. Chiedono l'assunzione di tutti i precari della
scuola, l'abolizione delle prove Invalsi, il ritiro della sperimentazione del
liceo di quattro anni. A voler leggere il fenomeno però, si capisce che dietro
c'è il desiderio forte di una scuola migliore, il desiderio di avere un futuro
che la maggior parte di loro presagisce di non avere.
Certo, i benpensanti possono rispondere, come si sta facendo,
che è tutto un problema di ordine pubblico e quindi da reprimere, tacitando
così le loro coscienze. Quello che invece lascia perplessi è la risposta del
ministro Carrozza che ha bollato il fenomeno (come tutti i benpensanti) dicendo
che è solo un rito e che le occupazioni si fanno solo quando si ha un
obiettivo. Beh, proprio sugli obiettivi lasci stare ministro, o almeno
espliciti prima i suoi.
 
 
 
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