Riassunto
L’articolo si
propone di illustrare alcune idee nuove per la scuola. Partendo dai concetti
elaborati dal professor Enzo Spaltro, si cerca di mettere in discussione,
attraverso la spiegazione di singoli punti, alcuni stereotipi che continuano ad
imperversare nelle aule scolastiche.
Si parla, ad esempio, dell’accento che da
sempre si pone sulla difficoltà dello studio, della mancanza di una mentalità
di gruppo, della poca comprensione delle forme attuali di apprendimento
multidimensionali: punti critici – e nello stesso tempo ‘vivi e vegeti’ -
dell’attuale assetto scolastico.
Inoltre, nell’articolo si cerca di mettere in
evidenza come l’istituzione scuola abbia bisogno di idee, di attenzione e di
discussione, di avere, cioè, puntati su di sé fari potenti, se non si vuole
abbandonare la nave, come si dice, in balia delle onde o addirittura lasciarla
alla deriva.
Il momento politico attuale fatto di attese e di speranze, sembra
propizio perché anche nella scuola si cominci (o ricominci) a respirare aria
nuova e profumo di bellezza.
Parole chiave: Benessere,
Qualità, Bellezza, Spaltro, Gruppo, Borges, T-group
I.
Il discorso sulla
qualità nel contesto scolastico, in questo particolare momento, è diventato
qualcosa di non più rinviabile. Si avverte il bisogno di passare
dall’enunciazione di un’idea e di una moda temporanea, alla definizione di
un’ideologia confermata.
La qualità scolastica come concetto fa parte ormai
dell’essenza che sta alla base dell’agire di ogni singola scuola. Come tale,
ora, andrebbe esaminata con dati empirici e non più con semplici ipotesi. A
patto, però, che si comprenda nell’accezione di qualità anche aspetti spesso
trascurati o comunque non abitualmente accettati: si tratta, cioè, di prendere
in considerazione gli aspetti legati al lato psichico o psicologico di ognuno
di noi, poiché tali aspetti interessano, o hanno direttamente ripercussioni,
sia sugli operatori della scuola che sui semplici fruitori del servizio.
Parliamo, in breve, della qualità che si lega intimamente al ‘benessere’ che
si vive, o che si dovrebbe vivere, all’interno dell’istituzione scuola. Forse,
è arrivato il momento che anche in questo specifico ‘contesto’ si cominci a
parlare di benessere in termini finalmente nuovi. Precisando che il benessere
di cui parliamo è quella condizione psichica che ci fa stare bene con noi
stessi e con gli altri e che ci dà la possibilità di aumentare la nostra
efficienza in termini relazionali, diventando di conseguenza un fattore
imprescindibile della qualità.
La scuola non vive momenti
facili, questo è un tormentone un po’ abusato, ma è anche una semplice verità.
Ci sono sempre nuove richieste che vengono dagli alunni e dalla società e le
risposte non sempre adeguate che l’istituzione fornisce, alimentano un clima
poco positivo, con il malessere che coinvolge e travolge insegnanti ed alunni.
Negli anni scorsi ci sono state le vicende relative al ‘bullismo’ che hanno
monopolizzato l’attenzione; oggi c’è la condizione non secondaria del
precariato che non trova stabilità e possibili vie di uscita; c’è anche,
incombente, la frammentazione di ipotesi e intenti che accomuna gli operatori
della scuola, per cui ognuno pensa di avere la soluzione in tasca che però alla
prova dei fatti si rivela del tutto particolaristica, eccessivamente individualizzata,
senza nessuna visione prospettica utile in generale. C’è poi anche, cadenzato
come il rintocco di un pendolo quando arriva, il risultato delle rilevazioni
internazionali, con la lamentala del mancato conseguimento di posizioni
apprezzabili nella scala degli standard conoscitivi. Insomma, nei confronti
delle altre nazioni, i rilevamenti dicono che le nostre scuole, vale a dire i
nostri alunni, non ne escono bene, non ci fanno una bella figura. Se questo poi
sia vero o no, se cioè non ci sia bisogno di leggere meglio e in profondità
tali dati, alla fine importa a pochi e diventa paradossalmente irrilevante.
II.
Intanto, secondo alcune
correnti della psicologia contemporanea, si è ormai affermata l’idea che molto
del malessere che accumuliamo derivi dalla incapacità di gestire in modo
positivo le nostre relazioni. Inoltre, c’è la consapevolezza che il benessere
non sia una condizione data dalla nascita: in altri termini, si può imparare a
stare bene e, di conseguenza, si può anche insegnare a farlo. Tale
consapevolezza rimanda così ad un qualcosa – concetto-nozione-idea - da cui
scaturisce che la qualità della vita si ricostruisce imparando a stare bene e
quindi insegnando/imparando il ‘benessere’.
Chi ha dedicato a questo
argomento studi e riflessioni è stato il professore Enzo Spaltro
dell’Università di Bologna. I capisaldi della sua idea di benessere potrebbero
avere nella scuola un effetto salutare, e riuscire ad attivare un circolo
virtuoso di cui si sente sempre di più il bisogno.
In effetti, si potrebbe
ipotizzare l’idea di una vera e propria formazione del benessere, i cui punti
in forma sintetica e da approfondire potrebbero essere i seguenti.
1° Punto
Partiamo dalla
constatazione che viviamo in una società condizionata dal malessere. Nella scuola,
termini come ‘burn out’ sono entrati a far parte del vocabolario di ogni
insegnante. Ma l’argomento viene da lontano: nella scuola (in generale) si è
sempre premiata la sofferenza: ‘imparare è soffrire’, la tradizione - volenti o
nolenti - è questa. Da qui, una ‘ipotetica pedagogia del malessere’ sentenzia
‘se non fai questo – ti punisco!’. Invece, ci sarebbe da contrapporre una
altrettanto ‘ipotetica pedagogia del benessere’ che dica (come assunto
principale) “ se fai questo – ti premio!” Se ci pensiamo bene, nella scuola, la
promessa è rara; la minaccia è frequentissima.
Il passaggio verso la
rivalutazione del soggetto è fondamentale per costruire il benessere, perché il
benessere è esso stesso soggettivo. Quando si parla di soggetto è ovvio che si intende
sia chi insegna sia chi apprende. È certo che tutti vorrebbero stare bene: c’è
nel soggetto la tensione naturale verso il benessere. Ma spesso non basta il
volerlo. C’è bisogno anche di sapere come fare. Dunque, chi meglio della scuola
potrebbe proporsi a farlo?
Un altro assunto fondamentale che scaturisce da
quanto finora detto è che il soggetto non è pensabile senza pluralità e
partecipazione. Come diceva Don Lorenzo Milani:
“Nessuna conoscenza è vera se
non è condivisa.”
2° Punto
Una volta consapevoli
che il benessere non ci è dato dalla nascita, è importante capire come si fa a
raggiungerlo. C’è necessità di studiare, avere voglia di apprendere con metodi
antitradizionali, uscendo dal solco del già tracciato, entrando nei territori
dell’inesplorato. Una delle condizioni dello ‘star bene’ essenzialmente si
attiva imparando a relazionare. Nella società della comunicazione,
paradossalmente spesso ci sono difficoltà nel porsi in relazione con gli altri.
Imparare a farlo è indispensabile, condizionati come siamo dai surrogati della
relazione, telefoni e computer. Dobbiamo porci l’obbiettivo di riuscire ad
entrare in contatto con chi ci circonda e costruire rapporti significativi, non
standardizzati. Naturalmente, si parla di relazione vera, quella personale e
dal vivo, non mediata.
3° Punto
Una volta capito
che si deve imparare qualcosa, la scuola, che è il luogo dove si apprende,
diventa il fulcro di tale discorso, attivando fino in fondo la sua ragion
d’essere. La scuola dovrebbe insegnare a ‘stare bene’. Questa idea, semplice e
complessa allo stesso tempo, ci porta alla riflessione che se si insegna
benessere, dopo diventa più facile anche insegnare e imparare tutte le materie,
facendo sì che la scuola in modo serio e consapevole attui i suoi principi di
efficacia e di efficienza. L’idea di una scuola che in un futuro immediato
possa essere basata su queste coordinate, potrebbe essere interessante e
coinvolgente.
4° Punto
Nella scuola,
oggi, il modello classico dell’allievo che impara e dell’insegnante che insegna
è crollato. Le tecnologie hanno dato a tutto ciò una spallata non di poco
conto. Alla consueta simmetria che si impara ciò che si insegna, con
l’introduzione di altri modi di fare, in primis della multimedialità che
propone percorsi di apprendimento multidimensionali,
le cose non appaiono più
così lineari come una volta. Ecco che allora potrebbe imporsi oggi il modello
del ‘fraintendimento collettivo’: chi impara – ha sempre qualcosa in più
rispetto a chi insegna. Ad una cosa non ne corrisponde un’altra. Il modello
‘creativo’ è asimmetrico: non sempre quello che si insegna si impara. Anzi,
molto spesso si imparano cose che non si insegnano affatto, o, almeno, non nel
modo in cui siamo abituati a conoscere. Dice Spaltro:
“Io insegno, tu puoi elaborare
il mio insegnamento in tanti modi diversi, a seconda della tua creatività.
Contemporaneamente, io, mentre insegno, imparo. Non esiste nei fatti una
assurda e anacronistica divisione dei compiti.”
Si impongono intanto alcuni
profili di formazione. Il ‘Training-group’ (imparare ad imparare) è il modello
di base che pone l’attenzione ai processi, invece che ai semplici contenuti. È,
forse, la tecnica più espressiva delle dinamiche di gruppo. È stata ideata da
Kurt Lewin, considerato il padre della teoria dei gruppi. In realtà, è stimata
come una delle tecniche che più dà la possibilità di un vero cambiamento
personale. Durante un ‘T-group’, sotto la guida di un conduttore esperto e di
un osservatore, si sperimentano le proprie capacità di saper stare in un gruppo
e si vivono ‘qui ed ora’ tutte le dinamiche che si incontrano nella vita reale.
Si sperimenta la propria capacità di stare con gli altri e, in una situazione
controllata, si ha la possibilità di capire i limiti e le possibilità di ognuno
dei partecipanti.
5° Punto
Come suo connotato
di base, l’ipotesi di una formazione dedicata esclusivamente al benessere
dovrebbe, nello stesso tempo, segnare il passaggio da una cultura di coppia ad
una cultura del piccolo gruppo. La cultura di coppia è limitante, non riesce a
cogliere la forza e la complessità dei molteplici punti di vista. La cultura
del gruppo mette al centro il rilancio della pluralità come riscoperta del
soggetto. La soggettività si esprime nel gruppo o, altrimenti, non è valida.
Così come si è già detto per la conoscenza. Insieme al corollario di una serie
di concetti che potrebbero sembrare fuorvianti, ma che a rifletterci contengono
straordinarie energie positive, si tratta di riscoprire l’importanza dei ruoli
intermedi, del ‘doppio gioco’, dell’essere al servizio di due idee
contemporaneamente, di non essere solo drasticamente di un bianco o di un
nero.
Ma, la condizione fondamentale di una nuova visione delle cose, resta il
senso dell’appartenenza. La condizione per qui il gruppo si realizza e la
scuola può aspirare a diventare di qualità, è il nostro sentimento di
appartenenza a quel gruppo, a quella istituzione. E per far sì che si
‘appartenga’ – dobbiamo rinunciare all’idea di essere il tutto e di voler
dominare il gruppo: la nostra singola rinuncia è la garanzia che di quel gruppo
faremo parte.
6° Punto
Il sesto punto è
dedicato alla proposta di introdurre in modo sistematico e non sporadico nella
scuola la cultura della negoziazione e della pluralità. Se si comincia a
considerare il conflitto come una risorsa, si pongono le basi per il pluralismo
e, quindi, per il benessere. Anche se accettare una simile condizione non è
certo più comodo. Inoltre, il gruppo, avendo più sensori e più ‘occhi’, pone
seri problemi al mito dell’obiettività. Su mille cose considerate come
obiettive, al massimo ce ne saranno dieci veramente tali. Il resto è tutto
costruito dalla soggettività. A pensarci bene, l’obiettività è solo la
soggettività imposta come obiettività da chi ha la forza o il potere di imporla.
L’esempio
più evidente nel mondo del lavoro ci è dato dal Taylorismo, che significa
unicità di comando, suddivisione del lavoro, parcellizzazione. Oggi, nessuno ne
parla più. Eppure, pochi anni fa non si credeva possibile uscire da questo
modello.
L’esempio ci fa capire come alcuni modelli che sembravano oggettivi,
in fondo, non lo erano per niente. Prendiamo l’unicità di comando: la ricerca e
la pratica hanno dimostrato che non sempre è necessaria. Possono esserci due,
tre capi in un gruppo: dipende dal tipo di gruppo e dalle sue funzioni.
7° Punto
Bisognerebbe,
intanto, anche rilanciare l’idea della costruzione soggettiva della realtà.
Tutto quello che vediamo è costruzione dell’uomo-soggetto, ed ogni uno di noi
si costruisce la propria realtà. Quelle che sembrano le nozioni più obiettive
(la natura, il clima) in fondo dipendono dalla nostra fantasia, dalla nostra
percezione, dalla nostra capacità di costruire.
Siamo abituati a pensare che la
nostra soggettività non conta niente (o poco) e che tutto dipende dalla
struttura e dall’economia. Invece, ormai si è capito che sì l’economia ha la
sua importanza, ma è anche vero che i grandi economisti continuano a fare
previsioni che poi, inevitabilmente, si rivelano sbagliate. Questo vorrà pur
dire qualcosa.
Noi siamo in grado di costruire la realtà. Le variabili
oggettive dipendono dalla variabile indipendente che è la soggettività.
La
fine del mito dell’economia la dice lunga sull’argomento. Come si è detto, gli
economisti vengono sistematicamente smentiti nelle loro previsioni.
La scuola
dovrebbe dotarsi (quando non lo fa o non lo fa in modo generalizzato) degli
strumenti e delle persone adatte all’apprendimento e all’insegnamento delle
variabili soggettive. L’individualizzazione e poi la personalizzazione dell’insegnamento,
se ci sono – sono dei passi, ma, forse, se non sono inserite in un contesto di
gruppo e di appartenenza, perdono la loro energia.
8° Punto
Occorre, infine,
che la scuola pensi anche alla costruzione di una nuova cultura. Perché non
cominciare a considerare che la base dell’apprendimento è sabbatica? Il sabato
ci attira di più: c’è il fascino dell’imminenza, delle cose non finite
piuttosto di quelle concluse. Noi tutti ci accorgiamo che impariamo di più e
siamo attratti dalle cose imminenti, da quelle che devono ancora avvenire, che
sono in costruzione, piuttosto che da quelle finite e definite. Contrapporre
quindi il sabato alla domenica, intesa come festa già avvenuta e riconosciuta,
la domenica intesa come conoscenza già definita e conclusa.
Borges diceva che
“L’imminenza di una rivelazione che sta per compiersi e non si compie, questa è
forse la natura del fatto estetico.” E da qui, sarebbe poi ora di introdurre
nella scuola una sorta di dimensione estetica in forma massiccia e continuativa.
C’è bisogno di una considerevole dose di bellezza per far dimenticare le
bruttezze che ci sono state somministrate per anni. Il benessere è sempre
basato sul bello, sulla forma e sullo stile del bello; sulle cose che devono
avvenire; sul trend; sulle possibilità e sul futuro. Concorrere alla
costruzione di una nuova cultura con alcune di queste idee, può essere la base
di impresa o di intrapresa che, certamente, darebbe slancio e vitalità
all’istituzione.
Conclusioni
Uno dei
principi che dovrebbe essere chiaro nella sua semplicità è che nella scuola si
dovrebbe evitare di colpevolizzare il benessere. Come nella vita di tutti i
giorni, anche nella scuola si continua con quella strana forma di comportamento
per cui si ha paura di ‘stare bene’. Fateci caso, è sempre difficile dire che
stiamo bene: come se il nostro benessere dovesse essere causa del malessere
degli altri.
Esiste poi un altro strano comportamento (nella scuola come nella
vita) ed è quello per cui si chiede molto alla politica, ma si dà poco ad essa.
O meglio, si chiede di risolvere i problemi, ma quasi mai si indicano le
possibili soluzioni. In fondo, sono pochi quelli che vedono i problemi e dicono
anche cosa si dovrebbe fare. Criticare solamente non serve a molto. Proporre
soluzioni, invece, è un notevole passo avanti: significa che si è pensato, che
si è ricercato, ci si è attivati.
In conclusione, l’ipotesi
entusiasmante potrebbe essere questa: che la scuola diventi il centro
dell’offerta del benessere, mutando la sua essenza e re-inventando slogan come
“Insegnare e imparare è piacevole!” e smontando i luoghi comuni sulle materie
facili e difficili (considerando che per chi piace l’algebra non è difficile
studiarla).
Tutti sanno che imparare è bello, eppure non si riesce a
scardinare il luogo comune che è anche difficile; mentre è vero che imparare è
piacevole. Convincersi (ma seriamente) che in nessun lavoro e, tanto meno nella
scuola, la produttività la si raggiunge con il malessere.
Il fondamento del
benessere nella scuola nasce dal piacere di pensare. Se si riesce a togliere
l’incrostazione intellettualistica a questa semplice verità, forse potranno
liberarsi energie e positività inaspettate per la qualità.
Si potrebbe così
costruire una vita di qualità.
Per raggiungere tutto questo ci vogliono tempi
lunghi. La tendenza alla formazione del benessere, quindi, consiste nella
speranza di imparare. Ma i tempi lunghi non devono spaventare. Importante è
iniziare un cammino. Nessuno è insostituibile e, certamente, altri
continueranno il percorso che si è iniziato.
*
Questo articolo vuole
essere un omaggio al prof. Enzo Spaltro, psicologo del lavoro, poeta, e
fondamentalmente uomo libero, che ha vissuto e vive al di fuori delle
convenzioni e degli apparati. Egli si è speso nell'insegnamento e nella formazione
per affermare alcune idee, e quelle che si trovano in questo scritto sono a lui
profondamente debitrici.
Riferimenti
bibliografici:
Enzo Spaltro, Qualità, Patron Editore (Bologna, 1995)
Enzo
Spaltro, La forza di fare le cose, Pendragon Editore (Bologna, 2003)
Enzo
Spaltro, La buona scuola, La penna d’oca (Napoli, 1997)
Aladino Tognon, Gli
orizzonti del benessere: progettare qualità a scuola, La pena d’oca (Napoli,
1996)
Don Lorenzo Milani, Lettera ad una professoressa, Libreria scientifica
fiorentina (Firenze, 1967)
Postic, La relazione educativa, Armando Editore
(Roma)
J.Luft, Introduzione alle dinamiche di gruppo, La nuova Italia
(1984)
F.Frabboni – F.Montanari, Lara: nuove abilità relazionali nell’avventura
scolastica, Franco Angeli (Milano, 2002)
E.Jaques, L’organizzazione
indispensabile, Guerini e Associati (Milano, 1991)
L.Amovilli, Imparate ad
imparare, Patron Editore (Bologna, 1994)
J.L.Borges, Altre inquisizioni,
Mondadori (Milano, 1974)
F. Di Lorenzo, Ministri Pubblica-Istruzione, UPPRESS,
(Bologna, 2012)
• L’articolo è uscito sul
numero 168 della rivista Psicologia e Lavoro, diretta da Enzo Spaltro.
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