L'articolo è uscito sul numero doppio n. 179/180 della
rivista PSICOLOGIA e LAVORO diretta da Enzo Spaltro.
1.
Definire oggi (e da sempre) che cosa sia la
poesia è un’impresa difficile se non impossibile.
La questione è stata ampiamente dibattuta e una
soluzione accettabile non si è trovata. Certo, ci si potrebbe accontentare
adottando una definizione disponibile sul mercato. Già da altri confezionata.
Adattarla alle singole e particolari caratteristiche e il gioco è fatto. Almeno all’apparenza.
Oppure ci sarebbe da inoltrarsi in altri
territori, scendere su un terreno più tecnico, pensare che la poesia sia quella
particolare forma di scrittura letteraria con delle regole precise: riga corta,
andare da capo, contare le sillabe, essere attenti alle rime e alle assonanze.
E poi, continuando su questo binario, arrivare a pensare di possedere la
ricetta per scrivere buone poesie. Sarebbe bello, ma non è così. Insomma,
neanche frequentare la facoltà di lettere, ti fa diventare poeta.
C’è, poi, anche a disposizione una soluzione
minimalista, vale a dire il tentativo di circoscrivere l’ambito particolare in
cui ci si muove, usando termini ‘banali e terra-terra’. Dopo le parole ‘alte e
forti’ qua e là sentite, riportare l’argomento al suolo. Far scendere dal cielo
l’eterna discussione e poggiarla sulla superficie terrestre, adagiarla ad
altezza d’uomo, o anche rasoterra, per rendere la cosa più compatibile ed
accessibile a tutti. Potrebbe essere un’idea. Tra
l’altro, qualcuno ha suggerito che la poesia serve ‘ad accompagnare regali,
oggettistica, pegni d’affetto, a guarnire lettere ed e-mail, soprattutto in
momenti topici come nascite, matrimoni, compleanni, morti’.
Ma si capisce che, sia con questa che con le
altre soluzioni, pur nella loro attualità e sincerità di fondo, si resta
ancorati nel regno dell’effimero.
Un ulteriore tentativo (o esperimento che dir si
voglia), potrebbe essere quello di partire da presupposti più generali, senza
alcuna pretesa di oggettività, ed arrivare a prefigurare, questa volta, uno scenario futuro per la poesia. In altri termini, proprio riconoscendo la
volatilità del tentativo di definire la poesia e in virtù di questo, costruire
un percorso essenzialmente non lineare, poco accademico, quasi anarchico, che
sia preludio però ad un discorso che basi la sua essenza su che cosa possa attendersi la poesia dal futuro, un futuro che spesso a
nostra insaputa è già iniziato, solo che non ne vediamo bene i contorni.
2.
Partiamo dall’ipotesi non assurda che la poesia
sia un movimento che attraversa l’uomo.
Assumiamo quest’ipotesi come punto di partenza. La poesia è quindi una forza, un’emozione
che attraversa l’uomo e che può essere
generata sia dall’esterno che dall’interno della persona che scrive. Non c’è
una regola precisa. In effetti, la poesia o è il frutto di qualcosa di nostro,
che nasce e si sviluppa in noi, oppure viene da fattori esterni che ci colpiscono
in modo particolare tanto da farci sentire il bisogno di parlarne. Si tratta
naturalmente di emozioni, sensazioni, percezioni, stupori, meraviglie, dolori,
gioie, eccetera.
Però le emozioni, sia quelle generate da noi,
sia quelle da noi surrogate, pur se
partono o si servono di noi attraversandoci, non sempre arrivano da qualche
parte. Spesso si bloccano. In pratica,
pensandoci, sono in maggioranza le emozioni che non arrivano a
destinazione, cioè non diventano poesia, che si perdono. Altrimenti sarebbe
molto più alto il numero dei poeti. Tutti, in misura diversa, abbiamo e
proviamo emozioni, ma non tutti sentono il bisogno di esprimerle in poesia.
Alcune addirittura sono false, non mantengono le
premesse/promesse e risultano vuote. Appena passato un po’ di tempo, un minuto
o cent’anni (ma generalmente poco) si smaterializzano, perdono consistenza, ti
salutano e se ne vanno per sempre.
Altre volte invece succede, chissà perché, il
raggiungimento del miracolo poetico.
La poesia allora è essenzialmente un moto
inconscio come lo è l’amore. In percentuale altissima non si riesce a gestirlo,
l’amore. E neanche la poesia. Un poeta diceva che arriva, se ne va, ti abita
per un po’, poi ti saluta, fa come se fosse a casa sua. E in affetti, a
pensarci, lei (la poesia) si sente/si comporta così.
Però, quando ci abita, in quei momenti che ci
abita (anche se in affitto), se si riesce a darle una forma, allora si sente/comunica,
una grande quiete interiore. Come se avesse raggiunto uno scopo. Quando invece
non arriva alla coscienza allora siamo inquieti, non troviamo pace, ci
intristiamo e anche peggio.
A questo punto e proposito, anche per scomodare
qualcuno di importante, ci viene in aiuto M. Cvetaeva, la quale diceva che “la
poesia è qualcuno o qualcosa che dentro di noi vuole disperatamente essere”.
Non esprimere qualcosa, ma essere qualcosa. In fondo, esprimere può anche
essere falso, essere invece è diverso: se pure fosse falso, il nostro essere
sarebbe un falso d’autore. In tutto questo agisce e prospera qualcosa che noi
non conosciamo, o non conosciamo abbastanza: il nostro IO. Che in effetti copre
l’essere non per proteggerlo solamente ma proprio per difenderlo, chissà?
Eppure, quando raggiungiamo veramente l’essere, per tornare alla Cvetaeva,
preferibilmente andiamo in crisi. Non reggiamo il confronto.
Per fare tutti questi passaggi ed arrivare al
dunque, si sa, usiamo la parola, senza sarebbe impossibile anche pensarlo un
simile discorso. E spesso la parola che usiamo non è affatto cosciente. Anzi.
Di più anche. Il poeta non sa quello che scrive, si esprime attraverso il
proprio inconscio, è in balia di qualcosa/qualcuno più grande di lui, ma può
farcela. La poesia non ha una funzione esplicita, rivela solamente chi siamo; è
scarnificante, ci mette nudi in relazione agli altri i quali giudicano, lo
fanno per mestiere, ma non in senso negativo. D’altra parte, però, mentre
entriamo nella nostra profondità, mentre incontriamo il nostro essere (la
nostra profondità) noi cambiamo e ci trasformiamo e lo facciamo senza saperlo,
senza volerlo. Nel mentre capiamo meglio noi stessi, abbiamo la grande
opportunità di sapere qualcosa in più di noi stessi, di strappare una manciata
di spiaggia (di terra) al mare magnum dell’incoscienza. La poesia è la
passerella per raggiungere la coscienza, un mezzo per arrivarci. Ma non tutto è
così semplice: ci vuole pazienza e soprattutto ci vuole perseveranza. Questo il
segreto, ma è un segreto che sanno tutti, il segreto di Pulcinella. Per capire
però la poca linearità di tutto il discorso (e di tutto il percorso), c’è solo
da rovesciare l’arazzo o il ricamo. Dietro una poesia ci sono fili
interminabili, intricati e inestricabili, impossibili da capire, da
razionalizzare. E questo è un riferimento a M. Foucault.
3.
D’altra parte quello che finora si è detto per
la poesia, avviene dentro una visione individuale che coincide con una visione
paradossalmente collettiva: una visione espressione di una intellettualità passata e presente. Ma
per il futuro? Ecco, per il futuro l’ipotesi potrebbe essere rivolgersi ad
ambiti e punti di vista diversi e nuovi. Campi che mettono in rilievo
l’importanza della soggettività, come potrebbe essere la psicologia politica.
In un suo recente libro, appunto, il professor Enzo Spaltro, ci indica alcune
ipotesi per il futuro. Anche per il futuro della poesia. Il libro si intitola “Un
futuro bello”, edito dalla Uppress di Bologna. Egli parte dalla costatazione
che sono cambiati e stanno cambiando i paradigmi che ci hanno accompagnato in
passato. “Cambia il senso del tempo e
dell’appartenenza. Cambiano i linguaggi con cui esprimiamo le nostre relazioni.
Tutto diventa più numeroso, più grande e più bello”. Anche la poesia può oggi permettersi di
ampliare i suoi tempi, raggiungere molte più persone, essere fonte di grandi
promesse. Oggi la poesia può raggiungere questi obiettivi come mai nel corso
dell’umanità. E se è vero “che l’umanità
oggi può autodistruggersi, è altrettanto vero che questa stessa umanità oggi
può auto svilupparsi incredibilmente”.
Pensando alla qualità della vita del soggetto
uomo, la poesia diventa veicolo e traino per la bellezza del futuro in una
dimensione di gruppo. Da un punto di vista antecedente, una dimensione poetica
di questo genere potrebbe sembrare di essere al ribasso, ma non è affatto vero
‘se si pensa al sempre maggior numero di persone che scrivono poesie, e possono pubblicarle, diffonderle, leggerle’.
Ed anche alle numerose traduzioni di poesie da tutte le lingue.
Corsi e laboratori di poesia sempre più
presenti, la ‘poetry therapy’ accoppiata con la psicoterapia in aumento, aiutano a superare stati di
difficoltà ed essere una fonte di benessere. “Esprimersi poeticamente aiuta la
sopportazione di tensioni, dolori psichici e stati di frustrazione”, dice il
professor Spaltro.
Oggi occorre trovare nuove vie di espressione e
occorre farlo in tempi brevi se
vogliamo evitare di stare male. Quando cogliamo che esprimerci ci porta al
benessere, e che in questo processo sono implicate direttamente sia la nostra
libertà che le nostre capacità personali, siamo al punto di poter capire che ci
vogliono, che abbiamo bisogno, di altri modi di pensare e di comportarci. Altri
modi e vie di/per comunicare. La poesia può essere una di queste vie.
Il piacere dell’arte può essere direttamente
collegato ad una delle forme artistiche più espressive che è il linguaggio.
Parlare e ascoltare, sia chi scrive poesie che chi le legge, pone al centro della sua espressività la
speranza del nuovo che è quella di stare bene e far stare bene. Un attore e un
pubblico, un presente e un futuro, l’energia psichica affidata a nuovi oggetti
d’amore, ai versi.
Migliorare la qualità della vita delle persone è
dove forse la politica in questo momento non può arrivare. Mentre ci arriva
benissimo la poesia. Il che implica che esprimersi (poeticamente nel nostro
caso) è andare contro la repressione per raggiungere il traguardo dello star
bene. Un traguardo che ha a che fare con la liberazione e quindi con la
libertà. Liberazione da certi vincoli, da certe cesure per arrivare alla
‘poesia diffusa’. E qui sta il punto. Spaltro propone il chiasmo tra bellezza
della poesia e la poesia della bellezza, e poiché come ricorda Dostoevskij, la
bellezza salverà il mondo, c’è l’incontro contrapposizione tra il primo ramo
‘che controlla la bellezza della poesia stabilendo se una poesia è bella o no.
Invece il secondo ramo sviluppa e lancia la dimensione estetica, sociale e
futura della poesia’.
A questo punto vengono fuori un polo espressivo
ed uno repressivo, la poesia come viatico al desiderio degli uomini, alla
conquista del loro spazio vitale, al benessere e alla ricchezza spirituale
che deve però lottare contro il
desiderio che a sua volta può diventare paralizzante. Perché il desiderio (come
l’emozione) se è poco o se è eccessivo paralizza. Tutto sta nel superare questo
stress.
Intanto, resta il fatto che oggi c’è sempre più
possibilità di esprimersi, con o senza
poesia. Ma con poesia è meglio. Perché? Perché la poesia è un mezzo di
espressione ma con un campo ristretto in una dimensione più umana: la poesia è
un dialetto. Usa segni e simboli per restare un dialetto, usa opacità,
apparenze e trasparenze, usa metafore ma lo fa per arrivare a far star bene.
Libera energie represse per convogliarle in un oggetto d’amore. Ma riproduce
anche situazioni particolari: infatti se ci pensiamo la poesia è scarsa in un
mondo abbondante, ed è poetica dentro un mondo prosaico. È la periferia contro
il centro. Mentre la musica non ha barriere, la poesia sì. Le barriere linguistiche
ne fanno un dialetto, mentre la musica può essere una lingua nazionale (o
internazionale), il dialetto è intimità. La lingua nazionale ha a che fare con
il potere. La poesia con l’opposizione a questo potere.
La poesia non ha nessuna regola, ognuno la
DECLINA COME VUOLE: ci sono un insieme di forme e contenuti e poi un ‘controllo
musicale’. La libertà stilistica della poesia è fondamentale, e ciò può/deve
essere visto come una sorta di democratizzazione letteraria.
Il professor Spaltro cita un libro di Donatella
Bisutti dal titolo “La poesia salva la vita”. Un titolo dal significato molto
vasto. I modi per farlo sono molteplici, il denominatore comune è che la poesia
ti fa diminuire il malessere. E se proprio non ti salva la vita, almeno ci
prova e te la cambia. Come diceva Zanzotto, “la poesia è ferita e farmaco
insieme”. C’è che scrivere poesie dà la possibilità di superare la crisi e di
addomesticare il dolore.
Ma una bella poesia alla fine serve anche a
creare qualcosa, una bella vita o la sua promessa. E al di là di tutto, il futuro della poesia
sta tutto nella sua capacità di creare benessere e bellezza, quindi nella loro
fusione che per Spaltro si sostanzia nel ‘bellessere’.
Sta nel desiderio degli uomini di vivere un
futuro migliore e per farlo occorre saper usare la bellezza del linguaggio. La
bellezza della poesia propone un futuro più bello. Qualcosa che nel momento in
cui promette, si avvera.
Bibliografia
D.
Bisutti, La poesia salva la vita, Feltrinelli, Milano, 2009.
E.
Spaltro, Un futuro bello, Uppress, Bologna, 2016.
E.
Spaltro, Sinistra, Uppress, Bologna, 2009,.
E.
Spaltro, Il significato della rivoluzione, Guerini, Milano, 2004
J.
Saramago, Poesie, Einaudi, Torino, 2002.
A.
Zanzotto, Tutte le poesie, Milano, Mondadori,
2011.
E.
Sanguineti, Poesia italiana del 900, Torino, Einaudi, 1971.
M.
Foucault, La parole e le cose, Rizzoli, Milano, 1967.
P.
Cappello, Azzurro Elementare, Rizzoli, Milano, 2013.
P.
Cappello, Stato di Quiete, Rizzoli, Milano, 2016.
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