Intervento di Francesco Di
Lorenzo alla scommessa del 17 maggio 2018.
Riassunto: In questo articolo si affronta il tema della differenza
tra Prosa e Poesia partendo in primo luogo da una ricognizione generale sul
rilievo, o non rilievo, che ha assunto
la poesia dagli anni settanta del novecento. Poi, tratta, attraverso una
panoramica molto svelta, del concetto di
poesia in prosa, che in Italia non ha mai avuto molta fortuna, come per esempio
in Francia a partire dalla metà dell’ottocento. Infine, propone una breve e sintetica rassegna delle molte
forme di ricerca di linguaggio poetico che si conoscono attualmente.
Parole chiave: Poesia, Prosa,
Bellessere, Ricerca linguistica, Sperimentazione, Tendenze, Post-poesia.
Questo intervento, parafrasando
un evento sulla poesia che si svolge a Roma, si può chiamare
La poesia è un’ intelligenza? Con il punto interrogativo per evidenziare fin da ora che il
dubbio, in queste righe, regna sovrano.
Intelligenza è intesa qui nel
senso indicato da Gardner quando parla di intelligenze multiple, che
sarebbero nove e che non contemplano
finora un’intelligenza poetica.
C’è l’Intelligenza linguistica,
ma è comprensiva di troppe cose non
specifiche e comunque la poesia è linguaggio ma non solo. Quindi, anche se
probabile e, pensandoci bene, possibile,
non è stata finora isolata una parte del cervello deputata a scrivere
poesie.
Per cercare di costruire una
risposta al quesito su che cosa muove questa particolare forma di espressione
letteraria, mi soffermerò su alcuni nodi cruciali della poesia
contemporanea, che sono: scrittura e sonorità, diffusione e sua
valenza, cesura con il passato, rapporto con altri ambiti linguistici,
sconfinamenti di genere, ma seguendo
sempre in sottotraccia la distinzione (o la non distinzione) tra POESIA
e/o PROSA.
1.
Una volta, neanche tanto tempo
fa, si pensava che la poesia avesse un rapporto diretto con i destini generali
del mondo. Si pensava che la poesia
fosse qualcosa di importante. Le cose, però, negli ultimi decenni sono
cambiate. Tanto per fare in parallelo un esempio, in storia dell’arte negli
ultimi decenni si è affermato il concetto di ‘pluralismo estetico’. In
pratica quelle che ‘un tempo si
definivano correnti artistiche (chiamate anche poetiche) forti e singole, oggi coincidono con la somma dei diversi modi
di vedere, oltre che di produrre, l’arte’. In definitiva convivono diverse tendenze in contemporanea. Nessuna tendenza
però è più importante di un’altra.
Sostituendo la parola poesia ad arte, si potrebbe tranquillamente dire
che siamo sulla stessa lunghezza d’onda. È in atto una sorta di pluralismo culturale (o poetico), una
accettazione pacifica, una convivenza benevola tra diverse scritture o tendenze,
che fa sì che ognuno possa esprimere la sua poesia senza pretese di univocità.
Soffrendo così, però, un depotenziamento della propria importanza, ma, a pensarci bene, acquistando altro, ad esempio, la libertà di rinnegare ogni pretesa di gerarchia
possibile.
Però, quello che ci interessa maggiormente e
contemporaneamente in questa occasione, è invece il discorso collegato alla lingua
della poesia e alle sue frontiere. Sono frontiere superabili? Sono di ferro o
di cartone? Sono costruite su delle fondamenta solide o sono costruite sulla sabbia?
Prima di cercare di rispondere, però, va fatto un discorso preliminare
ed introduttivo avendo presente un
articolo di Guido Mazzoni, poeta, saggista e critico letterario che
parla della situazione attuale della poesia nel contesto della società. Tale
articolo farà da sfondo - da base - per
il nostro discorso che divideremo in tappe, come un giro ciclistico.
1° Tappa
Tra il dopoguerra e la seconda metà degli anni
settanta, le discussioni sulla storia e sul canone della poesia sembravano in
pratica discussioni sui destini del mondo.
Le scelte estetiche erano il segno di scelte
etiche, esistenziali e politiche. L’idea era che non si potesse coesistere
nell’indifferenza. Il momento esigeva il dialogo/scontro di idee, e pure la polemica, sia in versi che in
prosa, tra posizioni diverse: Pasolini
contro Sanguineti, Fortini contro Pasolini, Pasolini contro Montale, Montale
contro le avanguardie, le avanguardie contro tutti gli altri. Ognuno dei contendenti si comportava, è stato
detto, come se fosse il ministro degli esteri di uno Stato e si scontrava con
il ministro degli Esteri di un altro Stato. Si capisce che in sottofondo, ma
neanche tanto, si aveva una fiducia
smisurata nella propria rilevanza.
Oggi tutto questo non esiste più, dalla fine degli
anni settanta c’è stato un vero e proprio mutamento genetico in campo
letterario che però ha fatto seguito ad un altro mutamento, quello sociale.
2° Tappa.
In questa tappa si prenderanno in considerazione
tre date significative per il nostro discorso. La prima è il 1975. In questo
anno esce un’antologia della poesia italiana che si chiama ‘Il pubblico della
poesia’ ed è curata da Alfonso Belardinelli e da Franco Cordelli. In essa, per
la prima volta, non si cerca di fissare
un canone, si pubblicano semplicemente i versi che alcuni poeti (che per anagrafe appartengono
alla generazione del sessantotto) hanno scritto negli ultimi sette anni. In
effetti si tratta di un’assunzione di responsabilità, una dichiarazione per
dire che la deriva della poesia è in atto. Infatti il titolo del saggio
introduttivo è proprio ‘Effetti di deriva’ e vuole indicare che sta avvenendo qualcosa di nuovo che
segnerà la poesia contemporanea. Attenzione, il punto sta nel fatto di non
voler più affermare una unità di intenti, e questo è percepito come una deriva. In altri termini
il fatto che non ci sia scontro (tra le varie poetiche) è vissuto come qualcosa se non di negativo,
di problematico.
All’inizio del decennio, precisamente nel 1971
(altra data significativa), erano avvenute altre cose. Esce in gennaio Satura la quarta raccolta del più
importante poeta italiano, Montale. In essa c’è un rovesciamento della sua
poetica, il suo ‘lirismo tragico’ viene
sostituito da un registro che oscilla fra la satira e un autobiografismo
di tipo nuovo, disincantato e neocrepuscolare.
Questo perché? Montale intanto è diventato
giornalista, i suoi articoli riflettono un deciso cambiamento. Inizia quella
critica alla società contemporanea ‘che
ha distrutto le condizioni che permettevano alla cultura umanistica di esistere
e ottenere un riconoscimento collettivo: le masse, i consumi, i media, il
mercato, la tecnica, la presa di parola generalizzata e dequalificata
distruggono Noi esseri tradizionali, copernicani, classici’. Si tratta di
una critica alla società contemporanea che Montale porterà fin nel discorso di
accettazione del Nobel nel 1975 e che in pratica dice che non ci sono più le
condizioni per scrivere grande e potente poesia.
Nello stesso anno esce il libro di poesie di Pier
Paolo Pasolini dal titolo Trasumanar e organizzar. Pasolini intanto si è
dedicato al cinema e al giornalismo e sente e dice, nei suoi versi, che la poesia è un’arte del passato, nessuno
chiede e ti chiede più poesia…è passato
il tuo tempo di poeta.
Alcuni critici hanno parlato esplicitamente del
fatto che Pasolini, con questo
libro, sembra deliberatamente rinunciare
all’idea stessa della centralità della poesia.
In fondo e alla fine sembra proprio che i due
poeti, Montale e Pasolini, che si soffrono,
che hanno polemizzato e non sono mai andati d’accordo, si trovano nei riguardi
della poesia attuale sulla stessa lunghezza d’onda.
3 Tappa
Per la terza data, il 1979, c’è bisogno di uno
spazio particolare e supplementare,
perché, secondo alcuni, avviene
in quest’anno qualcosa che è indicativo per il futuro, che indica in quel
preciso momento la strada che poi prenderà la poesia contemporanea.
Tutto parte dal festival della poesia organizzato a
Castelporziano, zona di Roma che dà sul mare. Il raduno è sulla spiaggia, sono previste tre serate, accorrono migliaia
di giovani ma non solo. Si è sparsa la voce che ci sarebbe stata Patti Smith,
poetessa e cantante.
In effetti non è vero. E questo indispone il
pubblico che è accorso lì per lei. Vengono contestati tutti i poeti che sono
stati invitati dall’organizzazione.
Tutti quelli che si presentano sul palco per leggere le proprie poesie
vengono fischiati, derisi, presi in giro. Molti del pubblico si autoproclamano
poeti e salgono anche loro sul palco,
prendono il microfono e leggono
le proprie poesie. I ruoli si confondono. Questo alla prima serata. La
seconda serata è ancora peggio, molti prendono il microfono per contestare
l’organizzazione, qualche poeta reagisce male, li chiama fascisti, si va avanti
nella contestazione finché qualcuno
porta sul palco un pentolone, annunciando che il minestrone è pronto. Cambia il
clima e tutti si precipitano a mangiare.
La terza serata
va meglio. Conduce il poeta americano della beat generation Allen Ginsberg,
che con la propria autorità placa la folla, legge le sue poesie, fa intervenire
il pubblico con vari proclami politici, nei quali si ribadisce in sostanza che
tutti devono poter esprimersi e che i poeti non sono da considerarsi dei
privilegiati. Vista l’autorevolezza del poeta americano, il pubblico interviene
per cose di ordine politico ma nessuno per leggere le proprie poesie. Alla
fine, il palco che non era stato previsto per tante persone, crolla, o meglio,
collassa sulla sabbia, si adagia a terra come a voler significare qualcosa: un
crollo sicuramente non violento, un abbassamento del piano della poesia che
suona come un’indicazione per il futuro.
Considerazioni
su queste tre tappe della poesia contemporanea. Quando inizia il
novecento il tasso di analfabetismo toccava quasi il 50%. Negli anni sessanta
solo il 25% degli uomini e il 15% delle donne accedeva all’istruzione
superiore. Nel 1975 la percentuale si alzava al 55% per gli uomini e al 45% per
le donne. Nel 2010 il 90% di entrambi i sessi accede all’istruzione superiore.
Il numero di coloro che hanno accesso al campo sociale della poesia cresce e
cresce anche la percezione, visto che tutti sanno leggere e scrivere, che la
poesia sia alla portata di tutti.
Chi va ad ascoltare poesia si sente egli stesso
poeta, la distanza oggettiva tra autori e pubblico è definitivamente annullata.
Naturalmente poi, se c’è un’autorità riconosciuta come Ginsberg a
Castelporziano, il pubblico annota la
sostanziale differenza e ascolta in religioso silenzio.
Avviene, cioè, che dagli anni settanta in poi il
campo della poesia si disgrega. Ci sono delle scintille di dibattito, nasce
ancora qualche gruppo come il gruppo 93 (o GAMM) con intenzioni polemiche (o
solo con l’intento di accentuare la propria proposta poetica), ma sono piccole cose, nel resto, nella
maggioranza, prevale la tendenza a non
discutere, a rimanere nella propria bolla, a non aggredire l’avversario perché ci sono sempre meno elementi comuni per
dialogare, ognuno ha il diritto di esprimersi e lo si fa pacificamente.
In fondo, il campo più che disgregarsi si allarga a
dismisura, aumenta la quantità e l’eterogeneità dei partecipanti. La musica
rock e la poesia si sovrappongono, nel 2016 vince il nobel per la
letteratura, Bob Dylan.
Se si aggiunge che il cambiamento più importante
per la diffusione della poesia negli ultimi venti anni è la nascita di
internet, i giochi sono fatti.
Ma nella sostanza cos’è cambiato?
Oggi, nella
maggioranza dei casi, la poesia continua
ad avere un forma lirica, parla di un io che coincide con chi firma il testo,
racconta frammenti di sé, in definitiva la poesia moderna è diventato il più egocentrico dei generi. Poi c’è anche,
accanto, la poesia dall’andamento narrativo, saggistico, teatrale che si
identifica con la post-poesia. Qualcosa che pensa di andare oltre quello che comunemente è chiamato
poesia. Però, in tutti e due i casi, il narcisismo è sempre presente. La
realtà è che oggi si può scrivere poesia
senza leggere poesia, senza seguire la poesia contemporanea e senza possedere
alcuna tecnica. La democratizzazione della poesia è avvenuta e non è detto che
sia un male.
Praticamente oggi la poesia è una
nicchia, ognuno fa gruppo a sé, e ognuno riconosce i suoi e si riconosce nei
suoi. Ma anche questo è qualcosa che ha molto da dirci.
E veniamo adesso alla specificità
del nostro discorso.
Poesia in prosa / Prosa in
prosa
Che cos’è la “poesia in prosa”? Semplificando al massimo, si può dire
che esiste nella realtà una condizione per cui il concetto di poesia si oppone
a quello di prosa. In pratica la prosa si definisce ‘per un deficit rispetto alla poesia: per una minore “altezza”,
oppure per l’assenza della versificazione e di altre strutture’. Si pensi
ancora all’uso dell’aggettivo prosaico,
a Spaltro che lo accomuna alla pesantezza in contrapposizione alla leggerezza
della poesia. Del resto la poesia è
vista formalmente anche come scrittura
in versi caratterizzata da vicoli formali: andare da capo, usare le rime, il
verso libero, ecc… . Insomma, se i
concetti di poesia e di prosa distinti sono ambigui, addirittura
contraddittorio sarà quello di poesia in
prosa. Paolo Giovannetti in un suo saggio, riprendendo da Riffaterre una constatazione, concludeva sulla natura
ossimorica di questo genere. Così la contraddizione diventa insanabile se diamo
ai due termini un significato formale. Se invece riusciamo a dare, forzando, un’accezione diversa alle due parole, forse
riusciamo a vedere materializzato una forma insolita di genere letterario.
Nella pratica la definizione finale potrebbe essere che la poesia in
prosa è – per il momento – un testo in prosa che viene ricevuto come poesia.
Resta comunque confermato dai
fatti che la poesia in prosa è un genere
poco praticato in Italia. Se si escludono alcuni tentativi di prosa lirica
fatti dai poeti Vociani (relativi all’ambito sperimentale e
espressionistico), o anche i pochi
frammenti prodotti dai poeti che
gravitavano attorno alla rivista La
Ronda, il tutto era confinato in
inserti di prosa all’interno di libri di poesia. Interi libri o sezioni di libri di poesia in prosa
in Italia non ci sono stati fino agli anni settanta del novecento.
In Francia, invece, il ‘poeme en
prose’ da Baudelaire in poi non ha mai smesso di essere al centro del discorso
poetico. Autori come Char, Michaux,
Jabes, Ponge si sono espressi, pur se in forme molto eterogenee, attraverso questo genere particolare di prosa
( o di poesia).
Ma per tornare agli anni
settanta, abbiamo che in Italia
esordisce un poeta che si chiama Giampiero Neri, il quale alterna senza variare lo stile, sequenze in versi e
sequenze in prosa, e che fa un po’ da
apripista. Negli anni successivi ci sono i nomi di Ottonieri e De Signoribus
(con i suoi non versi), che continuano questa forma espressiva, fino ad
arrivare nel nuovo millennio ad autori come Valerio Magrelli o Franco Arminio,
che pubblicano interi libri di poesia in
prosa.
In Italia, comunque,
la svolta avviene nel 2009. Un gruppo di autori composto da Gherardo Bortolotti,
Alessandro Broggi, Marco Giovenale, Andrea Inglese, Andrea Raos, Michele
Zaffarano, fanno uscire un libro che presenta una nuova declinazione della poesia in prosa e che viene chiamata ‘prosa
in prosa’. A tale proposito Paolo
Zublena ha scritto:
‘La prosa in prosa, anzi, la prose en prose è
un’invenzione di Jean-Marie Gleize, cui i prosinprosatori italiani
esplicitamente si richiamano. Gleize, collocandosi sulla linea di Ponge, di cui
è anche studioso, ha definito (e praticato) la “prosa in prosa” come poesia che
viene dopo la poesia, come un testo che vuole essere “letteralmente letterale”,
non avere altro senso se non quello che propriamente dice. La littéralité di Gleize, insieme
assenza di sovrasenso e riferimento all’evidenza della tipograficità
alfabetica, conduce alla redazione di testi che sono sommamente chiari e
enigmatici a un tempo. Enigmaticità che – secondo l’esempio dell’altro potente
modello, quello della language poetry americana e più in generale
delle varie modalità di poesia concettuale – può nascere dal contrasto tra la
chiarezza del dettato e la necessità di interpretarlo secondo una collocazione
pragmatica magari solo implicita, oppure dall’espressione di una pura evidenza
delle cose che rimonta appunto a Ponge, Gleize, ma anche a Perec e alla sua
rappresentazione dell’infraordinario’.
In ultima analisi ciò che
caratterizza gli autori che praticano ‘la prosa in prosa’ e la messa in
discussione dell’esistente e
l’istillazione del dubbio che possa esistere una differenza tra un testo
letterario/artistico e un testo non letterario/non artistico. In ambito
linguistico ciò significa che vengono
azzerate tutte le marche che contraddistinguono la letterarietà, anche quelle
novecentesche, per cui, ad esempio,
l’indebolimento della coesione di un testo non deve essere visto come un vuoto, ma una rappresentazione di ‘una strutturale
impasse della percezione’, e questo sia
se si tratta di testi originali, sia se
abbiamo a che fare con cut up di testi eterogenei.
Per dovere di cronaca, relativo a questo argomento, all’inizio del novecento, precisamente nel
1905, ci fu una discussione teorica che
partì dalla rivista Poesia diretta
allora da Filippo Tommaso Marinetti.
Egli chiese a tutti i maggiori poeti italiani, europei ed americani, quale fosse la loro opinione sul verso
libero, poiché era chiaro che la metrica classica, anche con la spinta che
veniva, come abbiamo detto dalla Francia, stesse in qualche modo vacillando o
comunque era da alcuni messa in discussione o superata. Le risposte alla
domanda seguono due linee di tendenza: la prima va nella direzione di non
confondere i caratteri tra verso libero e prosa lirica, mentre la seconda va ‘nella direzione di promuovere
l’affermarsi della libertà radicale della versificazione’, si parla di verso liberato rispetto agli esempi e ai
modelli di libertà metrica diffusa.
G.P.Lucini nella sua risposta
dirà:
‘Nessuna regola rigorosa gli deve impedire lo sviluppo, nessuna
barriera deve arrestarlo nell’onda sonora, nel plastico movimento’.
Esemplare invece la risposta che
diede allora il poeta inglese T. S. Eliot:
Non esistono in realtà due tipi di verso, quello libero e quello
chiuso, c’è soltanto un’abilità che deriva dall’aver acquisito una tecnica così
perfetta che la forma diventa istinto e può adattarsi ad ogni fine particolare.
Fin qui, siamo nel 1905.
Passa un secolo e il
rimescolamento avviene, con altre forme e su altre basi, ma avviene.
A questo punto sarà utile una breve e sintetica rassegna delle
molte forme di ricerca di linguaggio poetico che si conoscono attualmente
(alcune sono legate o sono emanazioni e sviluppi delle avanguardie poetiche novecentesche,
altre sono entrate in scena di recente, vale a dire nel XXI secolo).
È un dizionarietto presentato non
in forma alfabetica, né per ordine
d’importanza, i cui testi sono stati ripresi dalla rete e che potrebbe
risultare utile e interessante:
Asemic writing: forma di scrittura semantica aperta senza
parole. La parola asemica significa "senza nessuno specifico contenuto
semantico".
Con la non specificità della scrittura asemica viene un vuoto di significato
che si lascia al lettore di riempire e interpretare. Questo processo è simile
al modo in cui si dedurrebbe il significato da un'opera d'arte astratta. La
natura aperta delle opere asemiche permette al significato di presentarsi trans-linguisticamente;
un testo asemico può essere "letto" in maniera simile indipendentemente
dalla lingua naturale del lettore. Molteplici significati per lo stesso
simbolismo sono un'altra possibilità per un'opera asemica.
Spoken word (dall'inglese "parola
parlata") è una forma di poesia espressa oralmente e incentrata sul dialogo o il
monologo. Generalmente recitata secondo uno schema narrativo, lo spoken word
viene a volte improvvisato ed espresso tramite esibizioni multimediali che
includono musica e danza. Fra i numerosi artisti che si sono cimentati in
questa forma espressiva Leo Ferrè è
quello più conosciuto. Ma c’è anche Lello Voce che vive a Treviso.
Eavesdropping/Intercettazione
Intercettazioni è l'intercettazione in tempo reale
non autorizzata di una comunicazione privata, come ad esempio una telefonata,
messaggio istantaneo, videoconferenza o trasmissione fax. Il termine eavesdrop deriva
dalla pratica di realtà in piedi sotto la grondaia di una casa, ascoltare le
conversazioni all'interno.
Googlism, invece, è
un interessante esperimento che cerca di raccogliere informazioni su google
riguardo una persona, un luogo, un
avvenimento o un oggetto. Il risultato sarà poi una lista di affermazioni come
"xxx è interessante, bello, fatto bene"
o "xxx è noioso". E voi? quanto
siete considerati da Google?
È un'applicazione
web che interroga testo in Google,
e visualizza i diversi modi in cui il termine viene utilizzato . Il punto è quello di digitare una parola, e vedere
quello che Google "pensa" su quella parola.
La definizione di googlism è in buona parte tutta presa da e
compresa in un riferimento semplicissimo al più noto e usato motore di ricerca.
Accolto nel sistema della letteratura come strumento di scrittura, elemento
nodale. Tuttavia K. Silem Mohammad, che di googlism e del movimento flarf
è teorico e autore, specifica che quelle che emergono attraverso googlism non
sono frasi e storie e pagine e materiali e occorrenze e insomma
oggetti trovati, “found” bensì
“sought”, attivamente cercati, cacciati (chased), perseguiti-perseguitati e
così – coerentemente – montati in testo, stabiliti, formati, costruiti,
torniti, ripresi e ‘stabilizzati’.
Spesso (per non dire sempre) montati e formati secondo modalità di
iterazione compulsiva e paratattica (come certi versi ossessionati da
pornografia in Deer head nation, dello stesso Mohammad) oppure per via di una
logica da new sentence.
Materiali incongrui vengono
incolonnati ed elaborati e/o immersi in parasillogismi, finte storie,
dichiarazioni politiche inventate, insulti sconvenienti, volgarità e palesi
“scorrettezze”.
Collegato a Googlism c’è FLARF
Originariamente
uno scherzo sul concorso truffa sponsorizzato dall'organizzazione Poetry.com,
il movimento sperimentale di poesie Flarf ha assunto lentamente una posizione
seria come un nuovo tipo di pratica poetica basata su Internet. Conosciuto per la sua
dipendenza da Google come mezzo per generare contrapposizioni, superfici e
inesattezze grammaticali, il flarf celebra anche deliberatamente cattive o
"scorrette" poesie costringendo i cliché, le parolacce, l'onomatopea
e altre aberrazioni linguistiche in forma poetica. Il membro del flarf
originale Gary Sullivan descrive
il flarf come "una specie di orrore corrosivo, carino o stucchevole. Sbagliato. Un-PC fuori controllo.
Un significato di flarf può essere
“fuffa”, limatura, scarti. Mettere insieme cose apparentemente inutili e farle
stridere, incontrare, scontrare.
New Sentence
Ron Silliman parla di new sentence a proposito (sintetizzo) di
una frase che si innesta volentieri in una sintassi e macroarticolazione o
sequenza di frasi che in qualche modo rimandano a concatenazioni tipiche del
sillogismo, a segmenti relati, legati (o che esibiscono legami, o che implicitamente
chiedono al lettore di vederli, di sentirli stabiliti), proprio nel momento in
cui la normale, razionale, dimostrata-dimostrabile descrittibilità e
consequenzialità è fatta saltare,
gettata in crisi.
Si ha new sentence,
aggiungo dunque, nei momenti migliori – per dire – di Partita, di
Antonio Porta, o in Tristano, di Balestrini (non nelle forti
spezzature date dai versi). (Nella new sentence l’andamento sintattico è
solitamente mantenuto: i salti di senso avvengono all’interno della nuvola o flusso
di coesione sintattico).
Prosa in prosa
Si ha prosa in prosa (espressione di Jean-Marie Gleize) quando viene registrato un azzeramento dei marcatori
del poetico. Che questo accada tramite poesie che debordano costantemente in
prosa, o per via di prosa che è (solo) prosa, o per via di elencazioni, liste, dissipazioni
tassonomiche, racconti non narranti (interrotti, iperframmentati), conta poco.
Sono strategie o eventi testuali legittimi. L’essenziale è semmai
l’eliminazione – dal piano delle scritture –del piano delle retoriche e dei
tropi stabiliti. Con, in più, il vincolo arduo della indisponibilità a cedere
alla tentazione di istituire, con questa prassi, altri tropi, ossia
cristallizzare una seconda (altera)
retorica, daccapo normante e normalizzante. Dire “prosa in prosa” vorrebbe anche dire sensibilità alla
soluzione individuale, non pregarantita, a suo modo (con “suo” sottolineato).
Scrittura concettuale
Nella scrittura concettuale (di
cui si parla spesso in panels e contesti e reading e convegni vicini comunque
anche a googlism e flarf) è invece la procedura a sostituire la forma. La bontà
del testo è praticamente coestensiva con la bontà dell’idea
(intenzione, programma, progetto procedurale) di base).
Si decide come
procedere: come raccogliere materiali, da dove, in che modo organizzarli: e si
inizia. Alla fine l’iter rigorosamente seguito costituisce l’intero del rigore
del testo, la sua – diciamo – difendibilità. Un testo – per esempio
– consistente nella minuta puntuale micrometrica descrizione di tutti i gesti
compiuti in un dato arco di tempo (Kenneth Goldsmith come un Perec
al cubo, volendo) diventa un blocco gigantesco di frasi che non è apprezzabile
serialmente tramite una lettura integrale o lineare, né si rivela interessante
se analizzato nelle sue cellule frasali costitutive, spesso banalissime e
giustapposte senza volontà di sottintendere alcun legame di sintassi o
consequenzialità (in ciò differenziandosi dalla new sentence, in linea
generale).
La scrittura
concettuale dà o può dare così origine a testi che singolarmente presi sono
somme o monoliti, e appartengono più alla visualità e (anti)monumentalità
dell’arte contemporanea, piuttosto che a un possibile inquadramento nelle
logiche della retorica discorsiva, della prosa, del verso.
Loose writing
Difficile circoscrivere il campo di questa scrittura di ricerca.
È una scrittura a cui non rendono giustizia gli
aggettivi “svagata”, “assente”, “distratta” (all’apparenza), “gettata” (buttata
via?). Né ha assolutamente le movenze dell’impersonalità (pur giovandosi di
affetti & effetti a questa pertinenti), dell’astrazione o caduta del
soggetto, della freddezza. Il soggetto c’è, e se cade non è perché scompare ma
perché scivola, ruzzola, scarta di lato, si fa incerto nel/del proprio asserire
autoriale, e proprio non vuole millantare
autoritarismo-autorevolezza, anzi sfugge a ogni struttura rigida del sé. Fugge
non dalla responsabilità ma dalla irreprensibilità della retorica. La irride
irridendosi, semmai. Questo per dire di Bordini che ne è l’esponente
italiano più accreditato
Altri nomi che si
potrebbero fare sono quelli di Paola Febbraro, di Victor Cavallo, e forse
perfino di Amelia Rosselli, a cui ci si può accostare – non senza ragioni – da
questa precisa angolazione, osservando le intenzionali “debolezze” e i tratti
inconclusi, lo sfumato antilirico, nella trama e disegno del suo Diario
ottuso, ad esempio.
Se di loose writing si
può parlare in riferimento a pagine tanto memorabili quanto antiretoriche, “informali” ma non informi, in
diversi autori che hanno operato a Roma
e in Italia negli ultimi trent’anni, non possiamo stupirci che i
risultati materiali, sulla pagina, di costoro, siano tanto convincenti quanto
quelli di chi, in altri paesi, scrive e fa flarf, o googlism, o new sentence, e
spesso scrittura concettuale.
Bibliografia:
E. Sanguineti, Poesia
italiana del Novecento, Einaudi, Torino, 1971
Andrea Inglese, Gherardo Bortolotti, Alessandro Broggi,
Marco Giovenale, Michele Zaffarano, Andrea Raos, Prosa in prosa, Introduzione di Paolo
Giovannetti, Note di lettura di Antonio Loreto, Firenze, Le
Lettere, 2009
Paolo Zublena, Esiste (ancora) la poesia in prosa?, «L’Ulisse», 13, 2010, pp. 43-47.
G. Simonetti, La letteratura circostante, il Mulino,
Bologna, 2018
D. Bisutti, La poesia salva la vita, Feltrinelli,
Milano, 2009
G. Mazzoni, Sulla poesia moderna, Il Mulino,
Bologna, 2005
E. Spaltro, Un futuro bello, Uppress, Bologna, 2016
E. Spaltro, Sinistra, Uppress, Bologna, 2009
E. Spaltro, Il significato della rivoluzione,
Guerini, Milano, 2004
J. Saramago, Poesie,
Einaudi, Torino, 2002
Jean-Marie Gleize, A
noir. Poésie et littéralité, Paris, Seuil, 1992.
Michel Sandras, Lire le poème en prose,
Paris, Dunod, 1995.
L’articolo è uscito sul numero 183 della rivista ‘Psicologia e Lavoro’,
fondata e diretta da Enzo Spaltro.
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