racconto
Salvatore
era più accondiscendente. Rideva, partecipava alla vita, aveva amici. Non
capiva neanche, o se capiva accettava senza farsi problemi, la deprivazione
materiale, culturale, economica che viveva. Lui, no. Era arrabbiato con tutti,
con il mondo, con se stesso, con tutto quello che gli capitava a tiro. Non
accettava di non essere come gli altri, di non vivere una condizione di
normalità che vedeva negli altri. Perché sua madre non gli metteva la merenda
nella cartella come facevano le mamme di tutti i compagni di classe?. O se non
la merenda, perché non gli dava i soldi per comprarsela da solo? Semplice,
perché la madre non li aveva, e se li aveva, li spendeva in stupidaggini. Non
era capace di programmare, di mandare avanti una famiglia, di avere delle
regole, di farle rispettare. Così la mattina lei e i quattro figli si
svegliavano quando capitava. Il marito era uscito alla sei per fare il muratore
da qualche parte. Se qualcuno si
svegliava in un orario decente, allora i due che dovevano andare a scuola ci
andavano, altrimenti niente. I figli erano cinque. Il primo dodicenne, era
andato a vivere con la nonna a Torino. Anche lui voleva andare a vivere con la
nonna. Ma era ancora piccolo e poi era un ribelle. Lui non accettava che non ci
fossero soldi, che la madre non si svegliasse, che non preparasse il grembiule
la mattina, che non ci fosse mai il latte, che non gli desse i soldi, che in
casa sua ci fosse sporcizia. Ma non lo sapeva esprimere. Allora si ribellava.
Era arrivato a scuola il primo giorno, tutti a cercare il suo nome sull’elenco,
ma non c’era. Infatti nessuno lo aveva mai iscritto. Il padre che lo accompagnò
quella mattina disse che non sapeva che
bisognava farlo. Ma come, qualcuno gli obiettò, non è il primo figlio che viene a scuola. È vero,
avete ragione, disse, mi sono dimenticato. Trovò un direttore intelligente che
lo fece entrare in classe senza
problemi. Alle dieci in punto, dopo essere stato zitto fino ad allora, o al
massimo aver litigato con qualcuno, si alzava, prendeva la cartella e scappava
via. C’era qualche insegnante che non trovava di meglio che andare da Salvatore,
il fratello di due anni più grande che stava in un’altra classe a dirgli come
si comportava male il fratello. Lui e Salvatore non venivano insieme, entravano
ad orari diversi e nella scuola si ignoravano completamente.
[Immagine:
Salvatore che quasi piange, mentre rincorre il fratello che per l’ennesima
volta è scappato e lo a implora di rientrare].
Fuori
dalla scuola strade poco praticate, la campagna intorno e qualche insegnante
volenteroso che nel mattino lo rincorre, cerca di convincerlo, vuole capire il
perché. Ma lui non risponde. O risponde arrabbiato che non lo sa, o che lo sa
ma non lo vuol dire.
Poi
si scopre il motivo delle sue fughe. Semplicemente non ha la merenda. Non
accetta di vedere gli altri mangiare e non vuole chiedere niente a nessuno,
così un poco prima dell’ora stabilita prende le sue cose e se ne va. Protesta.
Protesta perché pretende la merenda. A turno gli insegnanti comprano il panino
e la mattina e appena entra glielo danno. Lui non scappa più.
Poi
succede che qualcuno vuole essere gentile e capisce come si deve fare, è
un’insegnante lo invita a casa sua a mangiare, a lavarsi, a guardare la
televisione. Lui ci va e non si schioda più da quell’ambiente. Praticamente
vive lì, quando a sera lo invitano ad andare a casa sua a dormire, si arrabbia.
Nessuno lo cerca. Presto diventa un peso. In casa si sentono meno liberi. I
figli dell’insegnante si lamentano di quella presenza fissa. E così gli dicono
di non venire più, prima inventano scuse, devono uscire, hanno da fare. Lui non
ci sta. Aspetta fuori per ore. Viene l’inverno, lui è sempre lì. Piove forte,
lo vedono sempre lì fuori, ad aspettare. Da dentro casa resistono. Se non lo
faranno entrare può darsi che capisca e non viene più. E infatti, dopo un po’
scomparve per non farsi mai più vedere.