racconto
1.
“Nella
mia vita sono arrivato ad una svolta. Facciamo il punto. Se scrivo una parola
al giorno, per venti anni, alla fine metto insieme 7300 parole. Mettendo nel
conto che qualche giorno la parola non viene, e che i punti e le virgole
richiedono almeno due giorni di meditazione, ho calcolato che in 25 anni il mio
racconto potrebbe essere pronto.”
Un discorso come questo – anzi, proprio questo - Alfonso se
lo era fatto sei anni prima. Adesso era arrivato a poco più di duemila parole,
precisamente 2229 parole, e si riteneva quasi soddisfatto. "Contro il
consumismo delle parole, per un corretto uso della lingua", era uno slogan
con il suo inconfondibile marchio.
In paese lo chiamavano ‘Alfonso lo scrittore’. Aveva scritto
il tema di italiano alla maturità per sé, e poi ne aveva scritto un altro ad un
suo compagno di classe. Il fatto si seppe in giro e la fama di allargò a più di
duecento persone che frequentavano i marciapiedi del centro: in pratica le
persone che contavano nel decretare fama e onori.
2.
“Nella vita o si è qualcuno fino in fondo, o è meglio
suicidarsi.” Questo era un pensiero che mi aveva tormentato fin dall' infanzia;
in fondo non facevo che contrappormi alle idee di mio padre, al suo modo di
vivere.
Nessuno lo considerava granché mio padre, lui era contento
della sua mediocrità, e tutto andava bene, se non il fatto che a me dava un
enorme fastidio essere figlio di nessuno.
Decisi un giorno a tavola, mentre lui diceva che in fondo si
sentiva soddisfatto, che sarei diventato qualcuno a qualunque costo, a prezzo
di qualsiasi sacrificio.
Come Alfonso fosse arrivato al punto di voler diventare
qualcuno nella scrittura è presto detto. Aveva appena finito il liceo e il
professore di italiano, incontrandolo un giorno per strada, gli disse: "mi
piaceva molto come scrivevi, specialmente quando raccontavi la vita di paese...
come descrivevi bene certe stradine appena conosciute, certi sentimenti."
Per Alfonso fu il colpo di fulmine. E' il mio momento pensò.
Diventerò uno scrittore .
Ma qui cominciarono i primi problemi. Quello che scriveva
non piaceva a nessuno. Aveva mandato piccoli pezzi ai giornali della città, che
non li avevano preso in considerazione. Poi aveva chiesto il parere a qualcuno,
ora non so nemmeno a chi, ma tutti gli avevano risposto che scriveva troppo
complicato, usava troppi giri di parole per dire cose che si sarebbero potute
dire con molta più semplicità.
“Ve la farò pagare,” conclusi. “Un giorno vi dovrete
ricredere su quello che avete detto a me.”
E piansi al buio, nel letto, una notte.
3.
Fu appena dopo che mi venne un'idea per così dire geniale. O
così a me sembrava. Invece di scrivere tutti i giorni delle pagine, avrei
scritto una parola al giorno, meditandola, pesandola, studiandola. E' vero, ci
avrei messo una ventina d'anni per scrivere un racconto, ma sicuramente sarebbe
stato qualcosa di eccezionale. Voglio essere qualcuno fino in fondo! il mio
slogan che poi era più che uno slogan, era un modello di vita, lo scrissi su
uno striscione grandissimo che appesi sul muro libero della mia stanza. Finii
di inchiodare lo striscione e mi sedetti sul lettino di fronte a guardarlo. Poi
mi alzai, lo tolsi dalla parete e scrissi la frase, il mio slogan, su un
quaderno in cui tenevo appuntate le idee. Lo striscione lo buttai nel bidone
dell'immondizia.
Questi modi veloci e spicci di Alfonso, contrastavano
alquanto con la flemma che per forza di cose deve avere uno che se la prende
con calma, per di più uno scrittore che scrive una parola al giorno. Eppure lui
ci credeva, e sapeva tanto il fatto suo che si era scritto tutta una serie di
pensieri sul tempo tratti da Parmenide, Seneca e Kierkegaard*, e con le frasi
di questi autori rispondeva a chi gli chiedeva, "Alfonso, ma cosa vuoi
dimostrare?" (Affò ma che cazzo stai facenno?).
* (Tra i tanti filosofi che hanno
parlato del tempo nei secoli per non dire nei millenni, Alfonso aveva scelto
questi tre perché gli erano piaciute alcune frasi che si adattavano meglio al
caso suo, e anche perché di questi tre autori aveva i libri in casa).
Per essere sinceri le frasi sul tempo le aveva scelte nei
giorni in cui la parola era subito venuta sulla punta della penna e così gli
era rimasto un sacco di tempo libero. Tanto, ormai la missione era quella di scrivere
un solo racconto in tutta la sua vita. E non un racconto qualsiasi, un racconto
che ne avrebbe parlato il mondo intero, il caso letterario dell'anno… (ma non
diciamo troppe stronzate…)
Qualcuno si starà chiedendo, ma questo Alfonso che cosa
faceva nella vita? Come campava, di che si cibava, da dove prendeva i soldi per
vivere?
Ora potrei inventarvi una delle solite storielle,
raccontarvi che aveva una piccola rendita lasciatagli dai genitori morti (da
ridere), oppure che aveva trovato un modesto impiego come insegnante
tecnico-pratico o applicato di segreteria (ancora più da ridere), ma non ve la
racconto. Vi dico solo che gli bastava poco per vivere, infatti non aveva molto
appetito. Va bene?
4.
Uno scrittore che non scrive che scrittore è? Questo era il
tema di un confronto che Alfonso ebbe con un grosso intellettuale del paese,
una persona totalmente immersa nei suoi pensieri tanto da dimenticarsi
perennemente di comprarsi le sigarette. Infatti la prima cosa che diceva appena
lo incontravi era " mi dai una sigaretta?". Il problema diventò più
grave il giorno in cui incominciò a chiederle anche ai bambini, "mi dai
una sigaretta", "ma come professore sono piccolo",
"peccato", lui rispondeva.
Insomma, nel dibattito sullo scrittore che non scrive, riuscii
a dire una frase contrapposta e speculare: "perché, lo scrittore che
scrive, che scrittore è?”
Qui veramente la discussione si arenò e non andammo molto
avanti perché io non avevo le sigarette, e non potevo averle perché non fumo, e
il grosso intellettuale mi disse che lui senza sigarette non poteva continuare
una discussione del genere. Disse che scendeva a comprarle, ma non risalì più.
Ho il sospetto che la sua fosse una scusa, ma non sono sicuro, e quando dopo
quasi una settimana lo incontrai, per prima cosa mi chiese una sigaretta. Ma si
può?
5.
Un giorno però per Alfonso lo scrittore le cose
improvvisamente si complicarono. Per tutta la mattina e metà del pomeriggio
aveva sbattuto la testa su una parola che alla fine gli era venuta, con grossa
soddisfazione. La parola era "albatros". Si dovrebbe spiegare, a
questo punto, in quale contesto l'aveva inserita, cosa evocava il nome così
delicato e insieme sereno di questo uccello, ma non lo facciamo. A che pro ?
diceva spesso Alfonso quando non aveva voglia di impegnarsi in discussioni che
non finivano mai.
E a che pro? disse anche ad un certo tipo con la
GiaccaBianca che lui conosceva solo di nome ma che in paese era un'autorità, il
quale gli aveva chiesto un lavoro da fare. Come risposta ebbe uno schiaffo
sulla guancia che gli fischiarono le orecchie per un minuto almeno. Alfonso
incominciò a svegliarsi.
GiaccaBianca gli aveva chiesto di ricopiare tre quaderni di
appunti della sua ragazza che andava all'università. Li doveva ricopiare in
bella copia, con delle sottolineature e con i titoli dei paragrafi scritti in
maiuscolo e in rosso.
Cercai di dire che faccio lo scrittore, non il copista, ma
come ulteriore risposta ebbi un altro schiaffo allo stesso posto della faccia.
La situazione potrebbe sembrare strana, ma non lo è.
GiaccaBianca aveva saputo che Alfonso scriveva, e siccome la sua donna gli
aveva detto che le serviva qualcuno che le copiasse degli appunti, lui aveva
subito provveduto.
I due schiaffi me li presi in faccia, alle cinque del pomeriggio,
in una stradina solitaria; c'ero io, questo GiaccaBianca e un paio di suoi
amici.
Appena a casa Alfonso era cupo e nero come se gli avessero
comunicato di aver preso tre al tema di italiano. Forse ancora di più. Non era
per gli schiaffi, ma gli faceva male lo stesso la testa.
Quasi mi vennero le lacrime e stavo già incominciando nella
mia cupezza a prendermela col mondo. Mi veniva in mente "o natura, o
natura...", ma decisi che non era il caso.
Non c'è niente di meglio, almeno dal punto di vista tecnico-atletico,
che camminare di prima mattina respirando a pieni polmoni agitando le braccia.
Alfonso non fece altro che applicare queste semplici teorie.
Ogni mattina, ma in verità appena andava via il buio, lui se ne usciva vestito
di una tuta grigio-verde - residuo militare lui che il militare non lo aveva
fatto - e percorrendo le vie del paese ripeteva a se stesso, non è possibile..
non è possibile... non è possibile...
In altre parole cercava di distendersi facendo footing. Ci
provava ogni mattina all'alba quando nessuno lo vedeva perché aveva vergogna,
mettendosi una tuta che aveva comprato ad un mercatino dell'usato. Cercava di
distendersi cioè di non pensarci, e camminava come un forsennato, chiedendosi
tra l'altro se fosse il corpo disteso ad aiutare la mente oppure la mente
distesa ad aiutare il corpo - la cosa potrebbe sembrare oziosa ma non lo era.
Ho evitato accuratamente di usare la parola stesss, ma ciò
non toglie che Alfonso dopo queste levatacce mattutine si sentiva stanco,
abbattuto, pieno di dolori e con la tosse. In una parola, depresso.
Non so gli altri cosa avrebbero fatto. Io copiai in tutto e
per tutto i quaderni come mi era stato ordinato. Dopo averli consegnati mi
sentivo più libero e speravo soltanto che non mi desse altri ordini. GiaccaBianca
si prese i quaderni tutto soddisfatto mi ringraziò e mi disse anche di non fare
più tante storie come avevo fatto io all'inizio. Sorrisi, dissi a stento:
"non volevo". Sentii uno schiaffetto, questa volta leggero in faccia,
e vidi il sorriso dell'uomo.
Alfonso sperò, quando si ritrovò solo, che qualcuno sparasse
in mezzo alla fronte di quell'uomo, o comunque che finisse in un burrone con la
sua macchina.
6.
La cosa purtroppo non avvenne. Non passarono quindici giorni
e Alfonso fu avvicinato di nuovo dal tipo. Questa volta doveva correggere delle
tesine sempre della ragazza e doveva farlo in fretta, che lei deve consegnarle al professore della tesi, ci siamo capiti? E
come no!, disse Alfonso.
Corresse in fretta e senza alcuno sforzo le brevi pagine che
l’uomo gli aveva dato in una cartellina e lo chiamò al telefono. Rispose una
voce ferma e gentile, ma di donna.
-
Pronto?
-
Pronto, sono un… conosc…, mi
chiamo Alfonso, c’è …?
Alfonso non conosceva neanche il nome dell’uomo in GiaccaBianca.
-
Ma lei è lo scrittore?
-
Beh, insomma…sono il correttore , il copista in verità…
-
Io sono Marina, è a me che lei ha
fatto quei favori, sa?
-
Ah, bene. Sono contento di averla
conosciuta, anche se per telefono…
-
Senta, lui non c’è…ma… volevo
chiederle, come sono andate le tesine? Ci sono troppi errori?
-
No guardi, sono scritte bene e
comunicano interamente il senso che devono comunicare. Anzi, io ho dovuto solo
guardarle e ho corretto appena alcune
sviste.
Alfonso assunse un tono professorale e professionale, almeno con lei poteva permettersi di fare il
tipo se non duro, almeno normale, senza
la paura di ricevere un paio di schiaffi
subito e senza accenni di ritorno. Anche perché, diciamo la verità, per
telefono anche con l’altro, riceverli, sarebbe stato un po’ difficile.
-
Oh, bene sono contenta. E senta,
quando me le dà le tesine?
-
Beh, insomma, io ho chiamato proprio
per dire che avevo finito il lavoro, ma…
-
Guardi, lui non c’è fino a stasera,
perché non le dà direttamente a me?
-
Va benissimo, ma dove? Come?
-
Lei ha la macchina? C’è un bar all’angolo tra via Aldo Moro e la
circumvallazione esterna, quello nuovo, l’aspetto là tra mezz’oretta, diciamo.
Le va bene?
-
Sì, va bene. Ci vediamo là.
Alfonso aveva farfugliato le ultime parole, e ora era in
preda ad una di tensione , una
specie di lotta tra due forze uguali e contrarie: una diceva ma che cazzo hai
fatto? Andare là, ma sei scemo. L’altra invece gli imponeva, lo spingeva ad
andare, a provare, a toccare con mano ( toccare? magari!).
I pensieri più
stupidi, contrastanti e opposti mi si affollavano nella mente. Va a finire che
l’incontro, ci piaciamo e me la
faccio, così lo stronzo avrà quello che
si merita. Oppure, mentre sto lì, arriva lui e ci fa una scenata della madonna. Ma a me di più
perché non mi dovevo permettere, era con lui che stavo trattando e a lui dovevo
consegnare la cartellina con il lavoro finito. ‘Di più’, ’scenata’, era solo per dire. Io in fondo pensavo che mi avrebbe
fatto un paliatone lì, nel bar nuovo, davanti a tutti per dimostrare e affermare,
se ce ne fosse ancora bisogno, che con lui non si deve in ogni caso
scherzare... E questa non sarebbe stata
certo una novità…
Alfonso chiese al padre il permesso di prendere la macchina,
seppure il bar dell’incontro stava
appena fuori del centro, ma in bicicletta non voleva arrivarci e a piedi
c’era da fare una strada lunghetta e assolata oltre che senza marciapiede. (E anche questo non era certo una novità – la
mancanza di marciapiede, dico).
Arrivò lì esausto e senza pensieri, oppure senza pensieri
che non fossero già tutti consumati e rattrappiti, contriti e inutili, senza
senso, così li sentiva ora, in quel momento.
Lei era seduta ad un tavolino e lo guardò arrivare. Fece un
cenno con la mano per dire sono io. Aveva un vestitino nero come i capelli e
grandi occhi truccati senza alcuna volgarità. Il corpo quasi perfetto, non
alta, anzi, ma le forme tutte al loro posto, presenti e …diciamo, non solo. Le
gambe, accavallate con il vestito che arrivava sopra il ginocchio, erano belle e appena abbronzate.
Con le ragazze Alfonso non è che fosse chissà che, ma aveva
le sue avventure e le sue storie che duravano anche qualche mesetto. Insomma,
non era uno sprovveduto sprovveduto. Quella, però, anche dall’atteggiamento,
sembrava ed era la donna del capo. Quindi si preparò ad affrontare questa
specie di esame universitario supplementare.
-
Salve, piacere.
-
Piacere. Disse lei, allungandogli la
mano che Alfonso strinse, ma poco.
-
Abbiamo quasi la stessa età, forse è
meglio passare al tu, non credi?
-
Certo. Figurati, come vuoi.
Passarono alcuni secondi di silenzio che sembrarono tanti ad
Alfonso, ma non lo erano. Lei era distesa e sorridente, aspettava che lui
dicesse qualcosa, ma cosa doveva dire?
-
È molto importante per me quello che hai detto sulle tesine, sai? Sto
affrontando la tesi e una iniezione di
coraggio mi fa bene…
-
No, veramente sono scritte bene, non
avrai nessuna difficoltà anche con testi più lunghi, stanne certa.
La conversazione continuò con toni delicati. E con gli
sguardi fissi di lei che lo guardava in bocca quando parlava, specialmente nei
passaggi in cui Alfonso un poco si dilungava in spiegazioni tecniche su come
organizzare il materiale per una tesi.
Era da poco uscito Come si fa una
tesi di laurea di Umberto Eco, e Alfonso citava a più non posso, senza
sottilizzarsi a dire che quelle idee le aveva lette. Presero un caffè, un succo di ananas, acqua
minerale e fumarono, lei con assoluta classe, una sigaretta.
Un po’, ma è solo
delicatezza sulla quantità, mi sentii uno stupido quando lei alla fine non
volle in alcun modo lasciarmi pagare. Mi prese le mani in mano per fermarmi
mentre trafficavo con portafogli e soldi.
Il contatto di pelle fu un attimo, ma per me una specie di sospensione
del tempo che avrei prolungato all’infinito, se avessi potuto. Poi mi ritrovai
in macchina a dirmi che ero un cretino e che non avrei dovuto permetterle di pagare, dovevo
essere più deciso e sicuro. Fantasticai sul fatto che mi aveva dato il suo
numero di telefono, chissà…
Dopo un paio di giorni Marina, la ragazza di GiaccaBianca,
chiamò Alfonso, dicendogli di richiamarla la sera con calma, sul numero che le
aveva dato, perché doveva dirgli qualcosa di importante per lui.
La sera la chiamai, non so neanche io dire che
cosa mi aspettassi, che cosa avrei voluto sentirmi dire. Lei mi disse che
doveva partire per una vacanza lunga e che mi dava l’incarico di fare tutta la
sua tesi e che potevo chiedere la cifra che volevo, anzi non dovevo farmi
nessun problema di soldi, lei sapeva benissimo che queste cose si pagano e
qualsiasi cifra sarebbe stata accettata.
Poi mi disse con un tono confidenziale che le parole che le avevo detto
nel nostro incontro, sul fatto che per me avrebbe saputo sicuramente farla lei
la tesi, le erano servite molto.
-
Non so se mi capisci, sapere dalla
tua bocca che avrei potuta farla io e che solo per questioni di tempo non la
faccio, è importante, sai? Capisci?
- Certo che ti capisco, disse Alfonso. E come no? Capisco, capisco…
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