“Immobili ombre”


Una recensione in 500 parole di Francesco Di Lorenzo

Rosaria Rizzo, “Immobili ombre” (Homo Scrivens, Napoli, 2015)


“Immobili Ombre”, il romanzo scritto da Rosaria Rizzo, ha molte qualità. È il racconto di una vicenda intrigante e dolorosa che si dipana su due linee costruite sapientemente, e che – seppur parallele – spesso e volentieri si intersecano.
Una delle linee parte dall’attualità, dal presente, e si collega, richiamandolo, ad un passato fatto di radici più o meno  dimenticate, o che forse sono state rimosse e messe a tacere. La seconda linea è invece legata essenzialmente al passato, ai ricordi, o meglio, a personaggi ed episodi vissuti in una dimensione primitiva, arcaica, che riporta alla luce aspetti di natura drammatica. L’autrice chiama ‘intermezzi’ questa sorta di ricostruzione storica, ma alla fine, tali intermezzi diventano l’ossatura che regge tutta la costruzione del romanzo. Il linguaggio è essenziale, quasi scarno, depurato da ogni velleità ironica o scherzosa, pur essendo non privo di sottigliezze e allusioni, come quando nel ‘prologo’, la protagonista, parlando di sé, dice: 
«Entravo e uscivo, noiosamente, dal mio profilo Facebook per controllare la consistenza del mondo, e provavo un piacevole disgusto a scoprire la superficialità che regnava sulle schermate inafferrabili di vite meravigliose, postate con vanto. Io non mi vantavo di niente e non mi sentivo affatto meravigliosa…». 
Che vale come una carta di identità utile e definire, nella protagonista, una donna forte e decisa a vivere le sue solitudini interiori senza farne manifesti di eccezionalità  o occasioni di piagnistei.
La vicenda narrata nel romanzo è legata al ritorno, dopo trent’anni, nel paesino d’origine della protagonista che, con la sua presenza, fa scoprire pian piano, portandoli alla luce, aspetti e problemi che erano rimasti in sospeso. Tutto parte dal ritrovamento, in aperta campagna, di una tomba con inciso solo il nome di una donna e una data. Tutta la ricostruzione, dovuta soprattutto alla stranezza del ritrovamento – una tomba fuori dal cimitero – viene fatta con l’ausilio di un professore del posto. La collaborazione mette a nudo un mondo che ha il sapore, e non solo,  di altri tempi. Viene fuori una storia di miseria, di violenza e di sopraffazione, legata ad  un mondo contadino che (menomale) ha perso ogni velleità di riscatto o di presenza. Ma tutto questo non basta e per riannodare tutti i fili in sospeso, viene in aiuto un personaggio che colloca nel loro giusto posto i tasselli di una storia violenta e cruda e perciò volutamente dimenticata. Resta invece comunque impresso, e reso bene nella scrittura, il sostrato di una comunità che reca il sigillo della sopraffazione e dell’intrigo, essenzialmente i sintomi di una arretratezza senza scampo.

Alla fine si capirà come le due linee del racconto si uniscono finalmente in una sintesi perfetta. Le due vite – quella della protagonista e quella della donna della tomba – hanno avuto in comune lo stesso destino vissuto però con esiti diversi. Essenziale è che la protagonista, imponendosi con le sue scelte, ha  operato  nella realtà  un vero riscatto sociale e culturale, una emancipazione mentale che l’ha portata ad essere la vera donna che è. Le vicende umane raccontate nel romanzo sono accompagnate, rese fruibili, da un linguaggio sorprendente nella sua essenzialità, mai ostentato, sempre veloce, libero e chiaro.

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