Antefatto. Tullio De Mauro,
proposto da Giuliano Amato, diventa ministro il 25 aprile del 2000. Durerà in
carica fino all’11 giugno del 2001. Massimo D’Alema si è appena dimesso da capo
del governo, in seguito alla sconfitta del centrosinistra alle elezioni
regionali del 16 aprile. Luigi Berlinguer si è giocato tutta la sua popolarità
con il concorsone. Il suo partito non l’ha riconfermato.
De Mauro è
professore universitario. È un insigne linguista. In campo accademico detiene
un grande potere, che gli deriva da uno sterminato curriculum e da un’estrema
serietà professionale. Ha all’attivo una serie impressionate di
pubblicazioni. Le sue idee sulla scuola sono molto ben definite; come quelle
sulla società italiana e sulla lingua che parliamo.
Sembra naturale a
tutti che dalla poltrona di ministro possa dare un contributo importante alla
scuola italiana. Il suo è un traguardo ampiamente meritato. Nella sua carriera
si è sempre interessato della scuola viva, quella di tutti i giorni. Insomma,
le persone che si intendono di scuola lo conoscono bene e hanno fiducia in lui.
Una parte, però, non tutti.
(dal libro "Ministri della Pubblica Istruzione", Uppress Edizioni - Bologna, 2012)
Tullio De Mauro –
Ministro della Pubblica Istruzione:
dal
25 Aprile 2000 all’11 Giugno 2001 –
governo: Amato II
La vita. Dunque, un
famoso linguista al ministero della Pubblica istruzione. Tullio De Mauro sulla
poltrona appena lasciata da Luigi Berlinguer. Nato nel 1932 a Torre Annunziata,
in provincia di Napoli, De Mauro è considerato il più importante studioso della
lingua italiana.
È docente di
Filosofia del Linguaggio presso l’Università di Roma. Ha contribuito alla
diffusione e all’affermazione in Italia delle teorie linguistiche legate allo
strutturalismo. Ha curato, nel 1967, la traduzione e il commento del 'Corso di
linguistica generale' di Ferdinand de Saussure.
Gran parte delle
sue opere sono dedicate allo studio della lingua italiana dagli anni
dell’unificazione ai giorni nostri (‘Storia linguistica dell’Italia unita’,
1963).
Ha diretto e
curato importanti opere lessicografiche tra cui il Grande Dizionario
Italiano dell’Uso del 1999.
La sua attività di
studioso ha sempre avuto anche un risvolto ideologico e politico. È stato un
collaboratore storico ed animatore della rivista "Riforma della
scuola". La rivista aveva una diffusione enorme, ed era considerata un
punto di riferimento da quasi tutti gli insegnanti di matrice laica.
Tra le sue
iniziative c'è anche la creazione del giornale "Due parole",
pubblicazione con testi
semplificati per ragazzi con difficoltà linguistiche o analfabeti di ritorno.
De Mauro ha fatto parte della Commissione per la riforma dei programmi, nonché
del gruppo di saggi nominati dal precedente ministro Berlinguer.
Ma il neoministro è anche un uomo colpito negli
affetti dalla mafia. Suo fratello, il giornalista Mauro De Mauro, venne rapito
mentre tornava a casa, a Catania, una sera di settembre del 1970. Cronista del
quotidiano l'Ora di Palermo, stava lavorando, per il regista Francesco Rosi, a
una ricostruzione storica della morte di Enrico Mattei. Il suo corpo non è mai
stato trovato. Solo 25 anni più tardi i ‘pentiti’ di Cosa nostra hanno
raccontato quello che in Sicilia sapevano tutti. E cioè che De Mauro era stato
fatto sparire dalla mafia.
APRILE
– DICEMBRE 2000
Esordi. Il nuovo ministro
oltre che essere uno dei più illustri linguisti italiani, è anche popolare quel
tanto che basta. Le sue lezioni all’Università sono tra le più seguite. Sa
attirare l’attenzione. È arguto e mette nei suoi discorsi quel pizzico di
polemica che impedisce all’uditorio di distrarsi. È proverbiale la sua
battaglia contro il burocratese e per il parlare e lo scrivere chiaro.
L’Enel, quando
dovette semplificare e rendere leggibile la bolletta che arriva nelle case di
tutti gli italiani, si rivolse ad una commissione la lui presieduta. E fu una
bella esperienza, ricorda.
La sua capacità
affabulatoria lo porta a volte ad esagerare. Ma questa è anche una sua
caratteristica. E non se ne può fargli un torto. Spesso è in televisione e
sulle questioni della scuola i giornali lo intervistano abbondantemente.
Collabora con i maggiori quotidiani nazionali. È stato, negli anni settanta,
assessore all’istruzione per la regione Lazio. In quell’occasione scrisse un
libretto poi distribuito dal suo partito di riferimento, l’allora Pci. La breve
pubblicazione condensava in dieci punti le cose da fare per l’istruzione. La
prima, il punto di partenza, era l’assunto che ‘senza alfabeto, niente
democrazia’. Che tradotto vuol dire, più parole nuove, più linguaggio, più
scuola, più accesso alle informazioni per tutti, perché senza queste cose non
ci può essere democrazia. Le altre erano l’estensione dell’obbligo scolastico
fino ai 18 anni; la formazione degli insegnanti con relativo aumento dello
stipendio e il recupero scolastico degli adulti. Cose che, guarda caso, il suo
predecessore ha già iniziato a fare.
In ultimo, non si
può non ricordare che è stato uno degli ispiratori, a metà degli anni settanta,
delle 'dieci tesi per una linguistica democratica'. Le tesi, elaborate dalla
società italiana di linguistica, furono diffuse e portate nelle scuole medie
durante quegli anni e contribuirono non poco a svecchiare l’insegnamento delle
lingua italiana.
*
Passaggio di
consegne. Le
prime parole di elogio per De Mauro sono dell’ex ministro Luigi Berlinguer. Il
‘Barone rosso’ dichiara che è contento per la scelta, perché la riforma della
scuola l’hanno fatta insieme. La sua conclusione è che: “La riforma è
ormai un patrimonio irreversibile…Tullio è un amico, un gran signore, un uomo
di cultura, continuerà il mio lavoro”.
Nella stessa intervista, a due giorni dalla sua uscita di scena come ministro, dirà una cosa profetica. Ammonisce gli insegnanti a considerare che se la sinistra sulla scuola ha potuto anche sbagliare qualche passaggio, le idee della destra sono a dir poco mostruose: “Bossi ha già rivendicato la scuola padana. Sarebbe raccapricciante se un professore nato a Mergellina non potesse insegnare a Pordenone”. Che idee, a volte, passano per la testa dell'ex ministro…
Nella stessa intervista, a due giorni dalla sua uscita di scena come ministro, dirà una cosa profetica. Ammonisce gli insegnanti a considerare che se la sinistra sulla scuola ha potuto anche sbagliare qualche passaggio, le idee della destra sono a dir poco mostruose: “Bossi ha già rivendicato la scuola padana. Sarebbe raccapricciante se un professore nato a Mergellina non potesse insegnare a Pordenone”. Che idee, a volte, passano per la testa dell'ex ministro…
Nell’ambiente si sussurra che sia stato lui stesso
a suggerire il nome di del nuovo ministro al partito, avendo perso le speranze
di una riconferma. Addirittura si vocifera che abbia dovuto convincerlo ad
accettare, perché l’amico De Mauro era riluttante. Ma queste sono solo voci. Di
certo, se non ha assecondato l’avvicendamento con gioia (è un po’ troppo, non
porto mica il cilicio, avrebbe detto) sicuramente non l’ha ostacolato.
Berlinguer però esce da gran signore, ringrazia il suo partito per la fiducia
che comunque gli era stata accordata, concludendo che la poltrona non gli fa
nessun effetto. Tiene più al suo fegato e alle sue coronarie.
*
Si parte... male. Intanto, il
ministro De Mauro parte malissimo. Sa troppe cose di scuola. Ha purtroppo delle
idee su come ovviare o almeno tentare di invertire una tendenza storica
all’inefficienza e alla negligenza. Il guaio è che ora ha il potere necessario
per fare questo tentativo. Appena insediato, sull’onda dell’entusiasmo, dirà:
“I cambiamenti di cui ha bisogno la scuola
italiana non possono essere considerati un problema del ministro della Pubblica
istruzione, ma debbono diventare il chiodo fisso del governo e del Parlamento”.
Non è il solito
modo di scaricarsi dalle responsabilità, ma il tentativo di coinvolgere tutti
quelli che dicono a parole e non passano ai fatti.
Le sue prime due o
tre iniziative, in sequenza sono (come dire) al fulmicotone.
Nella sede
dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, la Treccani, fa l’elogio di Giovanni
Gentile. Che ne fu il direttore. Oltre che filosofo, ministro della pubblica
istruzione e a cui si deve la storica riforma scolastica del 1923. De Mauro
dice che il progetto scolastico di Gentile è ancora oggi straordinariamente
valido. È evidente che non ci crede. La scuola di matrice gentiliana è superata
dai fatti. Ma trovandosi in casa del morto ne fa l’elogio funebre. Forte anche
del fatto che la riforma appena approvata, e che lui dovrà far applicare, ormai
è cosa fatta e supererà una volta per sempre quella di Gentile. Fa il temerario,
fa finta di non sapere che parlare bene di Gentile suscita sempre polemiche: il
filosofo aderì alla repubblica sociale e fu ucciso per questo dai partigiani
fiorentini. Ma appena poche ore dopo, De Mauro fa l’elogio di Marx e, forse per
compensare, dichiara:
“Occorrerebbe rileggere l’appendice del
Manifesto di Marx ed Engels perché è un discreto pro-memoria dei diritti, il
punto di partenza di tutti noi”.
Lucio Colletti (ex
filosofo marxista passato alla destra) furioso, insieme a tutto il Polo lo
attacca:
“Fa solo demagogia, riproporre Marx nella scuola è
fuori dalla storia”.
Il giorno dopo, in
un’intervista, dice che ‘qualsiasi ragazza che oggi voglia andare a scuola
con il chador lo può fare’. Lo ribadisce a Torino, dove c’erano stati
migliaia di musulmani che avevano chiesto per le loro donne il diritto a
mantenere il chador nelle foto dei documenti. E già che c’è, lancia anche
l’idea di far fare corsi ai docenti nell’orario pomeridiano, per rimpinguare il
misero stipendio da insegnante. Ad esempio, corsi di arabo o di altre lingue,
ora che da settembre l’autonomia delle istituzioni scolastiche sarà a regime.
Apriti cielo! Per
il chador è proprio la sinistra che inizia con le polemiche. Per l’antropologa
Ida Magli il chador è segno della sottomissione della donna all’uomo e non può
essere tollerato nella nostra cultura. Per i presidi, invece, il chador in
classe è l’ultimo dei problemi: loro sono impegnati a spegnere le proteste per
l’insegnamento della storia che tratta l’islam in modo ostile. Oppure, a come
organizzare le mense con tutti i divieti e i cibi proibiti dei musulmani. Ma il
bello è che il chador non interessa neanche le comunità Islamiche in Italia:
“Noi musulmani in Italia non lo consideriamo una
priorità. Apprezziamo le parole del ministro, ma mettiamo prima altre esigenze
come quelle delle relazioni culturali tra comunità differenti”.
E con questo, il
ministro gran signore, intellettuale fine ed educato, è servito.
*
Il ministro,
l'informazione e la mobilità sociale. Il professor De Mauro è convinto che la cattiva
informazione sulla scuola faccia solo danni. E lo ha scritto quando ancora non
c’era all’orizzonte nessuna possibilità che diventasse ministro. Questo modo
distorto di informare, per De Mauro, condiziona i ministri. I quali, credono di
poter affrontare le questioni formative, ribattezzando alcune categorie di
insegnanti o sopprimendo gli esami di riparazione. Così le pagine dei giornali
si riempiono di queste amenità/stupidità, e i problemi secolari della scuola italiana
restano allo stesso punto di prima.
Per il ministro,
invece, il sistema formativo italiano è il terreno su cui si perpetua e si
accentua la nostra disuguaglianza sociale. Alcuni decenni addietro, l’accesso
all’Università o anche al diploma di scuola secondaria superiore, erano stati
elementi importanti per determinare la mobilità sociale. Ora, invece, un
genitore si domanda: che cosa mando a fare mio figlio a scuola se non ha
neanche la possibilità di guadagnare più di me?
Il ministro dice
che bisogna risalire la china della disattenzione verso questi aspetti centrali
del nostro sistema scolastico. Perché la scuola è un fattore di democrazia. Per
lui, il problema è profondamente culturale. (Così verrà preso dallo sconforto,
dice, quando una mattina, aprendo la porta di una stanza del suo ministero,
sentirà un altissimo funzionario dire: “Ma dove sta scritto che tutti devono
andare a scuola?”).
Per De Mauro, una
scuola poco democratica è destinata a far fallire tutto il paese. Questo,
perché una scuola che non guarda avanti, che è concentrata su se stessa, che
non apre prospettive, non ha alcun futuro. E qui, conclude, non è questione di
essere di destra o di sinistra: è questione di essere italiani. Volere una
scuola democratica è volere il bene degli italiani.
*
Scuola, alfabeto e
analfabeti. Il
nuovo ministro ha idee ben precise sul nostro sistema scolastico. Egli sa, per
averlo scritto in vari libri e discusso in più occasioni, che ancora nel 1995,
la metà degli italiani non ha la licenza media. Nonostante la Costituzione
Italiana prescriva otto anni di scuola obbligatoria per ogni cittadino. E se è
vero che appena venti anni prima erano addirittura tre quarti quelli che non
l’avevano, questo non dovrebbe consolarci più di tanto.
Anche perché tra i
primi sette paesi più industrializzati (dei quali facciamo parte), noi siamo
quelli che hanno il più basso indice di scolarità. Siamo quelli che portiamo al
diploma 40 giovani su 100 (mentre la Spagna ne diploma 64, Usa Gran Bretagna e
Francia 75, la Svezia 80, il Giappone 91). Siamo quelli che portano alla laurea
90.000 giovani all’anno, mentre i paesi che hanno più o meno la nostra stessa
quantità di popolazione, Francia, Gran Bretagna e Germania ne portano alla
laurea 150.000. Sempre in un anno.
Questo il ministro
De Mauro lo sa, e ne fa una sua personale bandiera. Un suo manifesto. Lo sa,
perché lo denuncia, che ci sono, invece, alcuni gruppi politici che se ne
fregano allegramente della scuola. Anzi, con il loro operato devono coprire, o
non devono scoprire, tutto quello che non è stato fatto in tanti anni di
mancata politica scolastica.
*
Alla fine del
2000, quindi, il ministro denunciava che quasi otto milioni di italiani non
sapevano né leggere né scrivere. Cioè, il 14% della popolazione sopra i sei anni
era analfabeta. Ed evidenziava anche il fatto che di scuola si parlasse solo in
prossimità degli esami di stato con grandi paginoni sui quotidiani. O quando si
verificava qualche episodio eclatante: la maestra che chiudeva con l’adesivo la
bocca del bambino o la professoressa che di sera si scopriva pornostar.
Ma De Mauro sa
anche che in Italia si legge poco. Il 56% delle famiglie italiane ha in casa
meno di 25 libri. E il 23%, nessun libro. Tra questo 23% di italiani che non ha
nessun libro in casa, c'è un'alta percentuale di diplomati e di laureati. E gli
stessi, intervistati, dichiarano senza nessun complesso, che non leggono libri,
di nessun genere.
Un laureato che non ha nessun libro in casa, ma
potrebbe sempre prenderli in biblioteca, e soprattutto che dichiara di non
leggerne neanche uno all’anno, manda certamente un segnale di grande sincerità.
Ma genera quantomeno qualche sospetto.
Sarà un caso. Una
coincidenza. Proprio in quel periodo arriva ai giornali una ricerca sulle
competenze alfabetiche degli adulti italiani. In pratica due italiani su tre,
in età compresa tra i 16 e i 65 anni, hanno difficoltà quando leggono e
soprattutto quando scrivono. Il 34,6% è ai limiti dell’analfabetismo. Il 30,9%
ha un patrimonio alfabetico limitato e rischia, in mancanza di stimoli, di
scivolare nell’analfabetismo. De Mauro che già conosce bene questi argomenti e
queste cifre, dice che il quadro è allarmante. In età scolare in qualche modo
si riesce ad attenuare il rischio analfabetismo. Ma restano i due milioni di
analfabeti totali che hanno più di 45 anni. Bisogna pensare ad una scuola che
ritorni sui propri passi. Ad un’istruzione che duri tutta la vita, anche perché
l’8% dei laureati non è in grado di utilizzare la scrittura in modo completo.
*
La commissione dei
228 e… il manifesto dei 500. Una delle caratteristiche del ministro De Mauro è
che si dilunga troppo nelle spiegazioni. Per qualcuno, semplicemente, parla
troppo. Ma è un linguista, sa mettere insieme le parole e tutte le occasioni
sono buone per dimostrarlo. Il suo è un atteggiamento da insegnante che vuole
spiegare bene ciò che dice. E questo suo atteggiamento arriva naturalmente
anche al ministero.
Il 27 giugno
insedia la sua prima Commissione. Dovrà aiutarlo a presentare il programma per
l'attuazione progressiva del riordino dei cicli scolastici. Il lavoro di
rifinitura della riforma Berlinguer, per intenderci. La Commissione dovrà individuare
gli obiettivi formativi scolastici da conseguire al termine del primo ciclo di
sette anni. E quelli al termine del ciclo secondario di cinque anni. È formata
da 228 componenti del più vario orientamento ideologico e culturale e delle
diverse specializzazioni e professionalità.
Il giorno
dell’insediamento e della prima riunione plenaria della commissione, il
ministro fa il discorso introduttivo. Parte da lontano. Ricorda che i dati del
censimento del 1951, reso noto nel 55, fecero scoprire alla nazione che sei
italiani su dieci non possedevano nessun titolo di studio. Ricorda che questa
posizione di estrema povertà culturale da allora è andata via via migliorando.
Ma che questa lunga marcia verso la scolarizzazione di massa è stata sempre
osteggiata.
Dice:
“L'opposizione all'idea che tutti dovessero
frequentare la scuola media era violenta, e serpeggiava sia nel maggiore
partito politico di governo, la Democrazia Cristiana, sia nel massimo partito
d'opposizione. "Todos caballeros" fu il titolo di un articolo di
ripulsa all'idea della media unificata scritto da uno dei più illustri
intellettuali comunisti del tempo. Questa tesi fu tuttavia sconfitta e si andò
all'istituzione della media unificata”.
Rilegge alla
commissione per intero i primi undici articoli della Costituzione italiana. Fa
un excursus delle posizioni e delle componenti culturali che hanno operato
nell’ambito scolastico in questi anni, confrontando cifre e dati. Tenendo in
tutto e per tutto una lezione a 228 alunni. Tra cui molti eminenti studiosi e
cattedratici quanto lui e forse di più. Il ministro alla fine chiede che gli
obiettivi e il piano di fattibilità siano pronti per metà settembre. Si
prospetta per i 228 un’estate di lavoro.
*
Richieste. Passano pochi
giorni e sul tavolo del presidente del consiglio, indirizzata anche al ministro
della pubblica istruzione, arriva la richiesta di ritirare la riforma dei
cicli. Anticipata da migliaia di lettere aperte, scritte da insegnanti e
genitori di tutta Italia.
A porre
esplicitamente la richiesta è il “Comitato nazionale del manifesto dei 500”.
Dicono, in breve, che l’accorpamento di scuola elementare e media farà perdere
agli alunni intere parti di programma. E porterà alla soppressione di alcune
materie. E che la riorganizzazione tra maestri e professori farà perdere valore
e identità sia agli uni che agli altri. Dicono di non essere d’accordo che a
decidere obiettivi e programmi siano 228 esperti. Che, intanto, lo faranno
senza ascoltare chi la scuola la vive davvero, cioè migliaia di insegnanti e
genitori.
Sergio D’Antoni,
segretario generale della Cisl, è d’accordo con il Comitato dei 500. Definisce
la riforma dei cicli ‘una vera disgrazia’. “Bisogna impegnarsi per cambiarla”,
dice, “perché va nella direzione opposta rispetto a quella che un paese moderno
deve perseguire. Diminuisce la qualità della formazione anziché aumentarla”.
*
Amato e il ‘plof’
dei pof. De Mauro, si è
capito, è un parlatore nato. A volte si dilunga troppo e viene preso in giro
dal presidente del consiglio.
Come sempre, alla
fine del consiglio dei ministri, c’è la conferenza stampa. Tutti i responsabili
dei dicasteri rispondono alle domande dei giornalisti. L’unico che non finisce
mai di parlare è lui. Amato scherzando gli dice di stringere, gli fa dei segni
con la mano. Ma lui niente, imperterrito continua a parlare di POF, i piani
dell’offerta formativa. Vuole spiegare ai giornalisti che ce ne sono 11mila,
uno in ogni scuola italiana. E Amato di rimando ‘speriamo che non facciano
PLOF, tutti questi POF’. De Mauro da vero professore non si fa distrarre.
Va avanti nella spiegazione, ha una missione: si è messo in testa di convincere
i giornalisti che il POF è una roba importante.
*
Scioperi e
missioni quasi impossibili. Il primo mese da ministro per De Mauro, e l’ultimo
di scuola per l’anno scolastico 1999/2000, è contrassegnato da scioperi e
proteste. Nessuno gli dà tregua. I Cobas vogliono saggiare se il movimento che
sembrava nato il 17 febbraio con la protesta contro il concorsone di Berlinguer
è ancora in piedi. E indicono uno sciopero per rivendicare l’abolizione di ogni
forma di differenziazione degli stipendi tra gli insegnanti. Chiedono, poi,
maggiori investimenti per la scuola pubblica. Stipendi più alti, mantenimento
della scuola elementare e media e un aggiornamento serio mediante un anno
sabbatico. Oggettivamente un miscuglio non distinguibile di tutto e di niente.
Con l'intento di cogliere nel mucchio.
Lo sciopero non va
benissimo: corteo di quattro-cinquemila persone a Roma, e dappertutto cifre
basse di adesione. Ma non si demorde. I Cobas insieme a Gilda, Unicobas e Cisal
confermano lo sciopero degli scrutini dal 12 al 16 giugno. Scendono in campo
anche i precari. È previsto un corteo a Milano e il ministro, per evitare
contestazioni, cancella la sua partecipazione in città ad un convegno. Non è
finita. Ci sono in agitazione tutti gli impiegati degli ex Provveditorati,
aderenti questa volta a tutti i sindacati. È successo questo: i provveditorati
sono in smantellamento per effetto della legge di riordino del ministero.
Dovrebbero essere sostituiti dagli uffici scolastici provinciali ancora in
allestimento. Intanto ci sono da smaltire le domande per la pubblicazione delle
graduatorie permanenti degli insegnanti. E ognuna di esse contiene tre copie,
una per le immissioni in ruolo, una per le nomine annuali e una per le
supplenze alle varie scuole. Il tutto deve essere fatto dopo la conclusione
degli esami di maturità e prima del 31 agosto. In modo da esser pronti per
l’inizio dell’anno scolastico. Una missione quasi impossibile.
*
Le ferie? Si
saltano! A
settembre deve partire a regime l’autonomia delle istituzioni scolastiche.
Ognuna di esse avrà un dirigente responsabile e piena autonomia didattica e
organizzativa. Prima, però, le regioni presenteranno un piano di
dimensionamento. Cioè un elenco delle scuole con un numero di alunni che va da
un minimo di 500 ad un massimo di 900. Questo significa che si devono accorpare
alcune scuole, altre si devono dividere. Intanto molte regioni non hanno ancora
presentato il piano. Con il rischio che a settembre non si riesca a far
decollare effettivamente l’autonomia.
Partono le
sollecitazioni. In alcune regioni vengono nominati commissari per questo
specifico compito. In Campania il ministro nomina Antonio Bassolino commissario
ad acta. Intanto Formigoni, governatore della Lombardia, chiede l’applicazione
completa del federalismo scolastico. Vuole essere lui a organizzare senza
nessun vincolo il sistema scolastico regionale. Vorrebbe far competere scuola
statali e scuole private, assegnando i buoni scuola secondo criteri decisi
autonomamente. Intanto, all’inizio di luglio viene varato dal governo un
decreto attuativo che porta l’obbligo formativo fino ai diciotto anni. Prima,
una volta finito l’obbligo scolastico a 15 anni, la legge non prevedeva più
niente. Adesso, invece, finito l’obbligo, il giovane avrà di fronte più strade:
proseguire gli studi, frequentare corsi di formazione regionale, avviarsi
all’apprendistato in azienda, o ancora, seguire percorsi integrati di
istruzione e formazione. Il ministro è soddisfatto. Aver licenziato un
provvedimento che attua un collegamento così intenso tra mondo della scuola e
mondo del lavoro, è fonte di grande soddisfazione.
Preso da tutte le
cose che ci sono da fare, De Mauro fa sapere che rinuncerà alle ferie. Tale
decisione costringerà molti funzionari e impiegati del ministero a fare
altrettanto.
Il ministro mentre
insedia l’ennesimo comitato scientifico, questa volta per l’attuazione del
piano nazionale di alfabetizzazione degli adulti, fa una precisazione
sull’argomento ferie:
“Purtroppo è in programma un agosto romano di
lavoro, ma qui tutti mi paiono tranquilli e sereni. Certo, i mariti delle
collaboratrici e le mogli dei collaboratori sono poco lieti di questa
prospettiva, però in qualche modo anche a loro spetterà il turno. Per me sarà
più difficile”.
Tranquilli e
sereni li vede solo il ministro. Tra di loro circola invece una battuta. Che
dopo quattro anni di superlavoro con Berlinguer, come premio, ora, mancava solo
di saltare le ferie.
*
Il mistero del
ministero. Quindi,
è certo. Per far partire a settembre l’autonomia scolastica, al ministero si
saltano le ferie. Ma non è detto che comunque alla fine sia tutto pronto. Già
il ministro, nel suo primo intervento alla camera, mise le mani avanti.
Espresse la preoccupazione che per la concomitanza di più adempimenti potesse
essere a rischio l’inizio del nuovo anno scolastico. Ma del resto, come dicono
tutti, l’autonomia è necessaria. Tra dirigenti, amministrativi, insegnanti,
tecnici e bidelli si arriva a quasi un milione di persone. Neanche con i poteri
del presidente degli Stati Uniti si riuscirebbe a governarli.
Francesco De
Sanctis, già ricordato primo ministro delle pubblica istruzione del Regno
d’Italia, nel 1861 aveva detto:
“L’insegnamento, per troppo zelo dei medici, si
trova ammalato… il sistema è fondato su una ingerenza minuta nelle più piccole
cose… Un sistema distruttivo di ogni andamento regolare della cosa pubblica.
Intollerabile. Deve cessare e cesserà”.
Beh, era
ottimista. In fondo, sono passati solo centoquarant’anni dalle sue parole. Ma
resta il fatto che gli ultimi rantoli, si spera, di un sistema fin troppo
centralizzato sono da record. In due anni il dicastero della pubblica
istruzione ha prodotto più circolari e ordinanze che negli ultimi dieci messi insieme.
Mille in un solo anno. Quella che detta le disposizioni per il trasferimento e
le assegnazioni provvisorie era lunga 110 pagine. Da leggere e poi far
applicare. Era così complessa, che ci sono volute 5 circolari aggiuntive per
chiarire in che modo si doveva presentare la domanda.
Intanto, le cose
da fare non sono poche. Bisogna completare le abilitazioni e le idoneità degli
insegnanti precari; definire le graduatorie dei concorsi ordinari; chiudere con
il passaggio alle dipendenze dello Stato di amministrativi, tecnici e ausiliari
che prima erano pagati dai Comuni. E ancora, emanare provvedimenti per la
gestione economico-finanziaria delle singole scuole. E sbloccare il riordino
degli organi collegiali fermo in parlamento. Insomma, il lavoro non manca.
Il ministro
ostenta serenità. A chi gli ricorda che il primo settembre è venerdì e che
l'anno 2000 è un anno bisestile, De Mauro risponde di non essere superstizioso.
Lui è convinto che da settembre non sarà più a capo di una struttura
elefantiaca. Che finalmente il ministro della pubblica istruzione dovrà solo
capire le esigenze delle scuola autonome, portare le loro istanze al governo e
al parlamento. E, magari, reperire più soldi da distribuire in maniera
equilibrata. Non si capisce se scherza, è ottimista o ci crede veramente.
*
Grane da imbrogli.
Come
se non ci fossero già troppe cose da fare, scoppia subito un’altra grana. Dopo
i primi tre arresti, si aprono altre inchieste sugli imbrogli ai concorsi per
l'insegnamento alle scuole elementari. Il ministro è lì, pronto ad arginare le
dicerie sulla corruzione. Che, si dice, regnerebbe incontrastata nei concorsi
scolastici e al ministero. Si affretta a dire che non esiste una tangentopoli
alla pubblica istruzione. Smentisce le voci che si fanno sempre più insistenti.
Al telegiornale, porta il ragionamento che alcuni casi isolati non possono
determinare un giudizio definitivo e inappellabile. Si parla solo di uno o più
episodi di corruzione che ancora devono essere accertati. Nello stesso tempo
però non smentisce che il problema potrebbe esistere. Forse già esiste, e si
stanno organizzando, lì al ministero, per escogitare nuove e più trasparenti
forme di reclutamento. Intanto da ora in poi le abilitazioni all’insegnamento
le daranno solo le scuole di specializzazione. Le SISS che sono partite da un
anno. E poi, rassicura i genitori, si sta pensando di nominare per i prossimi
concorsi non commissari che si autopropongono, ma esperti di valutazione.
Sarebbe una rivoluzione. Che, proprio per questo, non si farà mai.
*
L’educazione degli
adulti e il Cede (II parte). È quasi la fine di luglio. Siamo nell’estate,
l'unica da ministro, che De Mauro dedicherà al lavoro saltando le ferie. In
forma solenne procede all’insediamento del Comitato scientifico per l'attuazione
del Piano di alfabetizzazione funzionale della popolazione adulta.
È stato
sollecitato da un’indagine che aveva rilevato il rischio alfabetico per un
terzo della popolazione italiana tra i 16 e i 65 anni. Dà subito seguito ad un
accordo stipulato dal suo predecessore. E quindi, riorganizza e potenzia
l’educazione degli adulti.
Si scelgono le
aree in cui gli adulti saranno chiamati a formarsi.
Saranno quattro:
Area dei linguaggi; Area Storico sociale e giuridico - economica; Area
scientifica; Area tecnologica ed informatica. Saranno previsti interventi
mirati a gruppi sociali specifici come lavoratori socialmente utili,
casalinghe, immigrati, disabili, detenuti.
Sembra di vivere
in un altro mondo.
Tutta
l’organizzazione è affidata all'azione di Centri territoriali permanenti per
l'educazione degli adulti (CTP-Eda). I Centri già svolgono attività di
accoglienza, ascolto, orientamento e di alfabetizzazione primaria. Nonché
istruzione finalizzata all' eventuale accesso ai livelli superiori di istruzione
e di formazione professionale. L'ingresso è gratuito e vi possono accedere
persone di qualsiasi età. La precedenza, visto che ce n’è bisogno, è accordata
a coloro che richiedono il conseguimento di un titolo di studio (licenza
elementare o media).
I Centri
territoriali, che sostituiscono gli ex corsi delle 150 ore per lavoratori, sono
partiti nel 1998, voluti dal ministro Berlinguer. Già nel primo anno erano
stati attivati 700 corsi di alfabetizzazione primaria su 2/3 dei Centri. Poi,
ancora, circa 1700 corsi delle 150 ore nel 95% dei Centri con una utenza media
di 53 adulti. Altri 97mila adulti hanno potuto fruire presso i centri di corsi
di brevi o carattere modulare (alfabetizzazione informatica e inglese).
Non appena hanno cominciato a far bene, a partire
dal 2003, i Centri sono stati subito
depotenziati, sempre di più svuotati, tagliati, mortificati. Oggi sono solo
scatole vuote. L’alfabetizzazione funzionale è affidata ai serali delle scuole
secondarie superiori. Un modo gentile per dire 'siete fuori'. Nel documento
sulla riorganizzazione dei Centri Territoriali per l’istruzione gli adulti
dell’aprile 2009, non c’è più traccia dei Corsi a favore dei cittadini
stranieri per l’integrazione linguistica e sociale.
Se qualcuno si azzarda a far discorsi antichi
sull’istruzione di base per tutti, viene semplicemente deriso. Le idee di don
Lorenzo Milani vengono presentate da grandi giornalisti, in libri a grande
diffusione, come scemenze buone per far perdere ancora altro tempo.
*
È ormai agosto e
il ministro De Mauro fa partire l'Istituto Nazionale per la Valutazione del
Sistema dell'Istruzione.
In poche parole, è la riforma dell’ex CEDE, Centro Europeo dell’educazione. Anche questa, bisogna ricordare, è una iniziativa che era partita con Berlinguer. Il nuovo Istituto dovrà documentare e rilevare i risultati che le varie scuole otterranno. Dovrà, inoltre, monitorare le condizioni, vale a dire l’efficacia delle innovazioni dovute alle riforme in atto. Poi, essere in stretto contatto con i sistemi scolastici di altri paesi europei e non solo. Ed infine analizzare i fenomeni come la dispersione scolastica, che tanto incidono negativamente sulla nostra scuola.
In poche parole, è la riforma dell’ex CEDE, Centro Europeo dell’educazione. Anche questa, bisogna ricordare, è una iniziativa che era partita con Berlinguer. Il nuovo Istituto dovrà documentare e rilevare i risultati che le varie scuole otterranno. Dovrà, inoltre, monitorare le condizioni, vale a dire l’efficacia delle innovazioni dovute alle riforme in atto. Poi, essere in stretto contatto con i sistemi scolastici di altri paesi europei e non solo. Ed infine analizzare i fenomeni come la dispersione scolastica, che tanto incidono negativamente sulla nostra scuola.
Passato appena qualche anno, si chiamerà INVALSI,
che vagamente ricorda già qualche menomazione. Avrà un organico di perfetti
sconosciuti nominati direttamente dal ministro. I quali lavoreranno nella sede
bellissima di un castello cinquecentesco di Frascati. Risultati nulli,
polemiche a non finire. Ma questo lo vedremo dopo.
SETTEMBRE
2000
La scuola degli
ultimi. Il
ministro, fedele ad una tradizione che lo distingue, dedica attenzione a tutte
le scuole d’Italia. Ma ne dedica un poco di più a quelle che ospitano gli
ultimi, gli esclusi, le scuole dei quartieri a rischio e degli emarginati. La
tradizione a cui fa riferimento De Mauro è quella che proviene da don Lorenzo
Milani. Il quale diceva che la scuola o la si fa per gli ultimi o non è scuola.
E che trova da sempre gli oppositori che bollano quelle idee come una inutile
perdita di tempo. Qualcuno di questi ha parlato di buonismo fuori tempo
massimo.
Naturalmente non
si tratta di essere di destra o di sinistra, lo ha ricordato pure il ministro.
Chi si oppone alla scuola di tutti, a far frequentare i ragazzi che per
tradizione familiare non dovrebbero andarci, è una schiera trasversale di
privilegiati. Sono anime belle, come si diceva una volta, che pensano seriamente
che lo studio non sia fatto per tutti. Un po’ strano, però, diceva don Lorenzo
Milani, esibendo i dati. Gli esclusi sono sempre gli stessi. Provengono dallo
stesso strato sociale. Qualcosa non quadra. Quindi De Mauro, il quale vorrebbe
una scuola che dia la possibilità di provare anche a quelli che sono stati già
bollati come non adatti, dà subito un segnale. In Sicilia, visita per
l’apertura dell’anno scolastico la scuola elementare Giovanni Falcone. E
inaugura l’anno con i 530 ragazzi della media Garibaldi. Tutte e due le scuole
sono ubicate nel quartiere ZEN di Palermo. Non c’è bisogno di dire che lo Zen
offre uno spaccato della scuola palermitana che si colloca tra il rischio e
l’emergenza. Prima i ragazzi e poi le istituzioni, per De Mauro queste sono le
priorità. E per non smentirsi, negli stessi giorni andrà a Napoli ad incontrare
per conoscere ‘i ragazzi coinvolti nel progetto Chance. Quello che punta al
recupero degli adolescenti espulsi dal mondo della scuola’.
*
[Intermezzo
personale]. Passa appena un
mese, è ottobre. Il ministro è invitato ad intervenire in videoconferenza,
durante un convegno organizzato dall’associazione ‘Libera’ di don Luigi Ciotti
a Torino. Parlerà per la prima volta in pubblico della scomparsa di suo
fratello. Il convegno tratta di ‘democrazia, legalità e scuola’. Il ministro
dice semplicemente che il dolore per la perdita del fratello è sempre presente,
poiché il corpo non l’hanno mai trovato. È come se l’evento fosse avvenuto un
momento prima. Dice che non essendoci una tomba, la partita non si è mai
chiusa. Ricorda anche che aveva ragione Ugo Foscolo, quando nella sua poesia
ricorda che un sepolcro aiuta a chiudere una storia e ad iniziare un rito in
fin dei conti rassicurante.
Mauro De Mauro era
giornalista del quotidiano l’Ora di Palermo. Stava scrivendo per il regista
Francesco Rosi, che ne avrebbe fatto un film, la ricostruzione degli ultimi
giorni in Sicilia di Enrico Mattei, presidente dell’ENI. Il giornalista fu
fatto uccidere dalla mafia, come accertato dalle parole dei pentiti Mutolo e
Buscetta. Ma non si è mai arrivati al mandante ed il processo è stato
archiviato. De Mauro dice di essere contento di somigliare al fratello in modo
preciso. E di essere orgoglioso di portare la sua stessa faccia. Questa
sensazione, spiega, l’aveva provata qualche giorno prima all'inaugurazione di
un Istituto di Agraria. Un Istituto sorto in una ex villa sequestrata a Totò
Riina. E lui, aveva pensato nel momento dell'inaugurazione, che in un posto
come quello era partito l’ordine di uccidere suo fratello. Ma aveva anche
pensato che lo Stato vince sempre e che la legalità prima o poi si afferma. In
quel luogo, una volta così potentemente squallido, ora ci era entrato da
ministro il fratello di un nemico della mafia. E adesso ci vanno a scuola
ragazzi che diventeranno uomini liberi. Una bella soddisfazione, dice.
*
Agosto,
appuntamento fisso. È agosto. Al ministero si lavora. Al meeting di
Comunione e Liberazione per quest’anno le polemiche non sono legate alla legge
sulla parità. Ormai è considerata in qualche modo acquisita. La polemica devia
su altre cose. Intanto Berlusconi, invitato e osannato, nel suo discorso parla
di scuola e si esprime contro la riforma. È solo un anticipo di quello che il
Polo sosterrà tra brevissimo tempo. Invece, è sulla mostra allestita al Meeting
sul Risorgimento italiano, che si scatena la polemica.
Nella
presentazione della mostra qualcuno ha affermato che ‘si sarebbe potuto
optare per la coesistenza di un Regno del Nord con uno del Sud’. E
che ‘è stato un grave errore procedere ad un’organizzazione di stampo
centralistico-giacobino, soprattutto attraverso la persecuzione della Chiesa
Cattolica’. Una tale interpretazione suscita parecchie perplessità.
Addirittura un intellettuale di destra come Marcello Veneziani, noto per certe
sue posizioni talvolta ‘eretiche’, ha invitato gli amici ciellini a non
esagerare con l’Antirisorgimento.
Sollecitati da
ciò, i Neoborbonici di Napoli annunciano che sottoporranno al Ministro della
Pubblica Istruzione una petizione popolare. Vogliono una riscrittura dei libri
di storia scolastici. Le firme saranno raccolte durante la contro-celebrazione
dei 140 anni dall’entrata in Napoli del ‘sedicente eroe dei due mondi’. Secondo
i neoborbonici, i ragazzi dovranno sapere che Garibaldi non fu affatto un
liberatore. E che ‘l’unificazione italiana fu per il sud solo una conquista
piemontese con massacri, saccheggi e una colonizzazione economica e culturale
che dura ancora oggi’. I neoborbonici affermano che bisogna ‘ricostruire
quegli avvenimenti senza retorica. Alla luce di nuove fonti archivistiche e
bibliografiche’.
Il ministro è
avvertito.
*
Scioperi. Il ministro è da
sempre sostenitore accanito di uno stipendio più alto per gli insegnanti. E
così, all’inizio delle trattative per il nuovo contratto, annuncia aumenti per
tutti e progressione di carriera. Cofferati preventivamente lo blocca. Se
iniziamo con gli insegnanti, dice, inneschiamo un processo a catena. E chi
ferma, dice, le rivendicazioni di tutta la pubblica amministrazione?
Il ministro e
Cofferati avranno un incontro, si chiariranno, ma gli altri dirigenti sindacali
si sentiranno offesi per essere stati esclusi.
La situazione non
è facile da gestire. Sembra che l’unica certezza sia che tutti i sindacati sono
sul piede di guerra. È vero che minacciano uno sciopero generale congiunto, ma
ognuno di loro esprime delle rivendicazioni diverse. Sono tutti d’accordo sugli
aumenti e sulla difesa della professionalità (che detto così non si sa che cosa
significhi). Ma alcuni non vogliono differenziazioni di carriera, anzi chiedono
l’abolizione della norma che l’ha innescata. Altri, invece, sono contro la
riforma dei cicli, e vogliono che sia il ministro stesso a ritirarla.
Intanto, succede
questo. Quando si sa, conti alla mano, a quanto ammonterebbe il sospirato
aumento di stipendio, lo sciopero viene proclamato all’unanimità. L’aumento,
con i fondi reperiti, si aggirerebbe sulle trentamila lire nette mensili.
Appresa la notizia che anche i sindacati confederali sciopereranno, il ministro
in un’intervista dirà che tale atto è contro l’etica sindacale. Ma come, si
chiede (e chiede), io mi sto dannando l’anima per trovare qualche soldo,
elemosinando di qua e di là, e voi mi abbandonate?
Allo sciopero del
7 novembre ci sono tutti. Le cifre dell’adesione, come sempre, sono
discordanti. Il ministero dice che ha scioperato il 38,2% dei docenti. I
sindacati uniti il 60%. I Cub scuola annunciano che ‘nove scuole su dieci
sono rimaste chiuse’. Il ministro taglia la testa al toro dicendo: di
questo sciopero bisogna tener conto. Per i sindacati o si riaprono su nuove
basi le trattative per il contratto o si sciopererà di nuovo il 18 dicembre.
Ma vale la pena
fermarsi per un momento alla giornata del 7 novembre. Nella città di Roma. Per
strada, c'è il corteo principale con gli insegnanti che simpatizzano con
l’anima antagonista della scuola. Ci sono i Cobas, che sono contro la riforma,
contro i buono-scuola e contro la politica scolastica del governo. Poi, c’è di
tutto. Ogni piccolo spazio o piazzetta è presieduto da qualcuno che rivendica
qualcosa. Quelli della Gilda, al centro città, si sono armati di secchi e
spazzolini e si improvvisano lavavetri. Chiedono stipendi più vicini ai
colleghi europei. Gli Unicobas si sono ritrovati in bicicletta davanti a
Montecitorio per protestare contro il ‘disordine dei cicli’. C’è, poi, un
corteo più piccolo del Movimento Scuola Libera. Mentre al Senato ci sono quelli
dello Snals. Il cardinale Sodano, quella stessa mattina, parlando alla Domus Mariae,
dice che prima o poi si arriverà alla parità scolastica. Gli studenti, arrivati
da tutta Italia si distribuiscono. Ognuno appoggia e si dirige verso quelli che
pensa gli siano più vicini idealmente. La maggior parte chiede più soldi per la
scuola pubblica, sciorinando cifre e dati presi dai giornali o da chissà dove.
L’incazzatura della metropoli, direbbe Paolo Conte, è evidente. Il Corriere
della Sera chiude il servizio sulla giornata con queste parole:
“Intorno ai protestanti Roma esplode. La trombe da
stadio e gli applausi quasi si sciolgono nel mare di clacson”.
*
Religione e
conflitto di interessi. Il settimanale cattolico Famiglia Cristiana
intervista il ministro. De Mauro si lascia andare ad una confessione. Gli
piacerebbe imporre la Bibbia come libro di testo in tutte le scuole. Per il
sapere che contiene è una vera ‘bomba conoscitiva’, dice. Come quando
all’inizio del mandato aveva parlato di Marx fautore dei diritti umani, anche
questa volta si puntano i riflettori sulla proposta. Però, a differenza di
altre volte, ottiene consensi. Anche da sinistra. Certo, qualcuno dice che
forse imporre è un termine poco appropriato. E qualcun’altro come Sandro Curzi
di Rifondazione Comunista, dice che è una buona idea. Solo che si dovrebbe
veramente conoscere la Bibbia, per farla studiare. Certo che, a pochi giorni
dal successo della Giornata della Gioventù Cattolica e nell’anno del Giubileo,
la proposta del ministro non cade a sproposito. E proprio durante il Giubileo
dei docenti di religione, l’arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini, espone
al ministro la richiesta di aumentare da una a due ore settimanali
l’insegnamento della religione.
*
Il conflitto di
interessi. È
Valentina Aprea, responsabile per la scuola di Forza Italia a lanciare
l’allarme. L’accusa che viene fatta al ministro è ‘conflitto di interessi’ e
‘abuso d’ufficio ’. Perché? Avviene che proprio in quei giorni c’è il lancio
dell’ultima fatica del professor De Mauro: il Dizionario della Lingua Italiana,
edito da Paravia. L’esponente del Polo lo attacca perché approfitterebbe della
posizione di ministro, quindi sotto i riflettori, per lanciare la promozione di
una sua opera. Traendone di fatto un evidente vantaggio pubblicitario .
L’accusa sembra più fatta per dovere d’ufficio che veramente sostenuta. Il
ministro neanche risponde. Dal suo ambiente fanno sapere che, appena nominato
ministro, ha disdetto tutti gli impegni editoriali con le case editrici con le
quali collabora. E che l’uscita del Dizionario da lui curato era programmata da
almeno un anno.
*
Riforma dei cicli.
All’improvviso
spuntano come funghi i difensori della scuola elementare italiana. È la
migliore d’Europa, che senso ha smantellarla? Se lo chiede l’ex ministro della
pubblica istruzione Francesco D’Onofrio. E con lui tutto il Polo. Si annuncia
una durissima battaglia parlamentare che il centro-destra condurrà contro il
piano di attuazione della riforma dei cicli. Non appena verrà presentato. L’ex
ministro spiega che la contrarietà nasce principalmente dall’abolizione delle
scuole elementari e medie. Bisognava, invece, riformare gli ordinamenti degli
attuali tre cicli scolastici. Magari incentivando la continuità tra di essi,
non certo abolirne uno. D’Onofrio, come già aveva fatto Berlusconi ad agosto
durante il Meeting di Comunione e Liberazione, dichiara:
”…se vinceremo le elezioni, una delle nostre
prime leggi sarà l’annullamento dell’attuale riforma dei cicli voluta
dall’Ulivo”.
E, dice ancora,
che il centro-destra ha già preparato una sua riforma della scuola che
presenterà durante la campagna elettorale.
*
Il professor
Angelo Panebianco_4. È il primo novembre e sul Corriere della Sera, in
prima pagina, il professor Angelo Panebianco avverte: ‘Non uccidete la scuola
elementare’. Siamo proprio nei giorni solitamente dedicati alla commemorazione
dei morti. Vengono presentati, in parlamento, i primi contenuti della riforma
dei cicli. La struttura la si conosceva già da febbraio, ma, chissà perché, ora
sembra una assoluta novità. Forse è l’accelerazione finale che sta avendo la
riforma a far svegliare tutti. Il professor Panebianco parla di ideologia
pedagogica sbagliata che starebbe alla base di tutto. Egli si chiede come si fa
a non capire che i bambini hanno bisogno di una scuola e i ragazzi adolescenti
di un’altra. Insomma, c’è bisogno di una scuola elementare e di una scuola
media. Nell’articolo, molto preciso, sostiene che chi vuole l'unione di
elementare e media, non è stato attento ai reali bisogni dei propri figli
quando essi avevano quell’età. L’ideologia pedagogica di sinistra sostiene,
invece, che un bambino di 10 anni, l’età in cui si entra alle medie, non è
pedagogicamente diverso da uno delle elementari. Ma ognuno ha i figli che si
merita. E quelli del prof Panebianco sicuramente avevano le caratteristiche che
il padre ha descritto. Vero è, invece, che la gestione di maestri e professori,
scontenta tutti. Chi insegna quando - i maestri i primi due anni, poi insieme,
poi solo i professori? Non si capisce. Tra i prof ci sono quelli che temono di
perdere il loro status. Tra i maestri senza laurea chi ha paura di non essere
all’altezza e chi sotto sotto si sente gratificato. Ma, ormai, tutti i
detrattori della riforma hanno trovato il punto debole e battono incessanti il
chiodo. Anche altri professori, tra cui Giulio Ferroni, docente di Letteratura
Italiana alla Sapienza, si dicono d’accordo con il collega Panebianco. Il
rischio di una ‘secondarizzazione’ del primo ciclo è evidente. Non tiene conto
delle specifiche caratteristiche dell’età ed è solo frutto di ingegneria
pedagogica astratta, dice Ferroni. Ma anche i professori Dario Antiseri e Lucio
Russo, lamentano con diverse sfumature la perdita dei due cicli di base.
Insomma, la situazione, come direbbe Celentano, 'Non è Buona'.
*
Fiducia ed
ottimismo. Il
ministro è comunque fiducioso. È lui stesso a dirsi ‘insanamente ottimista’,
sulla possibilità che gli oppositori della riforma possano cambiare idea. A
Berlusconi, che minaccia una durissima battaglia in parlamento, De Mauro dice
che quando leggerà per bene la riforma anche lui dovrà ricredersi. Non ci sarà
nessun terremoto e nessun taglio di personale. Il piano di attuazione della
riforma sarà graduale e avverrà nell’arco di cinque anni. Per ora, a settembre
2001, partiranno solo per i primi due anni delle elementari. Per tutto il resto
si vedrà l’anno dopo. Al Polo che obietta che è una riforma illiberale, De
Mauro sfodera uno degli argomenti che, secondo lui, dovrebbe stoppare ogni polemica.
Egli dice: “è vero proprio il contrario. Uno degli obiettivi primari è
quello di mettere in grado i docenti di capire a fondo i loro studenti…
Dovranno fare, come don Milani, continue domande ai loro ragazzi: cosa fai? E
poi condurli per mano lungo le strade della matematica, della lingua italiana
ma anche chiedersi: quando qualcosa non funziona dove posso aver mancato?
Berlusconi e altri possono essere contrari a questo? Non oso pensarlo. Sono
convinto che una volta letto il piano l’onorevole Berlusconi convenga che ci
sono molti aspetti positivi”. Rileggendo queste parole si possono pensare
solo due cose: o il ministro è un grande stratega politico o è malato di
ingenuità. Sfoderare con Berlusconi la carta segreta di don Milani, non è
propriamente un’ottima mossa. Il ministro, sa, perché lo sa, che sia a destra
che a sinistra, i detrattori del prete scomodo sono tanti. Anzi, tra di loro,
quelli che vogliono una scuola dura e pura, fanno iniziare l’era della
decadenza proprio da don Milani. E quindi evocarlo è quantomeno rischioso. Ma
il ministro De Mauro se ne frega. La sua è una missione, vuole convincere.
Infatti, pazientemente spiega che il testo verrà portato alla discussione in
parlamento e che ci saranno 45 giorni di tempo per discuterne ed eventualmente
modificarlo. Perché il testo non è blindato. Si premura solo di dire che non
permetterà che venga stravolto.
*
I problemi
comunque non mancano. Il ciclo di base diviso in blocchi di 2 anni + 3 anni + 2
anni, non convince. C’è inoltre la questione della formazione degli insegnanti.
De Mauro vorrebbe una formazione universitaria unica per chi insegnerà nel
ciclo primario. Il ministro dell’Università Zecchino è contrario. L’idea di
Berlinguer di volere i due ministeri accorpati non era peregrina: almeno si
evitavano conflitti come questo e discussioni più o meno inutili.
*
Complicazioni. La situazione è
confusa. Tutti, chi più chi meno, sono contrari a questa riforma. C’è chi lo
dice apertamente, chi cerca di nasconderlo. L’onorevole Casini del Ccd afferma
che stanno sfasciando una delle poche cose che funzionava in Italia, la scuola
elementare. Un sondaggio pubblicato dal settimanale L’Espresso, fa emergere che
l’unificazione di elementari e medie non convince quasi nessuno. Sono contrari
il 55% dei maestri, il 50% dei professori delle medie e il 49% dei professori
delle superiori. La Cisl è apertamente contro la praticabilità della riforma.
Mentre la Confindustria suggerisce di farla partire solo come sperimentazione
in pochissime scuole. Le associazioni dei genitori presentano ricorsi al Tar
perché ritengono che la riforma sia incostituzionale. Ma la campagna elettorale
per le elezioni del 2001 è partita. E Berlusconi, certo del consenso di
insegnanti, famiglie e studenti, dice che eviterà questa altra grave ferita
all’Italia. Come promesso, se vincerà le elezioni cancellerà la riforma.
L’ottimismo del
ministro comincia a scemare. “Io non mi intendo di politica. Purtroppo ho fatto
finora un mestiere completamente diverso, mi sono occupato di scuola per 40
anni, e tornerò, penso, presto a farlo”. E aggiunge:
“Il piano di fattibilità dei cicli non è un
Regio decreto come la Riforma di Giovanni Gentile che fu imposta a tutti. Sarà
oggetto di una discussione in Parlamento, l’inizio di un cammino”.
E il professore si
inventa politico: il suo slogan diventa ‘miglioriamo insieme la riforma, non
buttiamola a mare’.
Ma poi, va ancora
oltre. Nella trasmissione Porta a Porta il ministro dichiara che se il
parlamento lo chiede, il centro-sinistra è disposto a far slittare la riforma.
Poi si spiega. Per il prossimo settembre partirebbero solo i primi due anni del
primo ciclo, perché fin qui è tutto pronto. Slitterebbe di un anno la partenza
delle superiori, perché lì i curricoli si devono ancora decidere. Ma il chiodo
fisso della trasmissione di Vespa è la sparizione delle elementari. O delle
medie, a seconda degli interlocutori e delle relative preferenze. Tra gli altri
intervengono Pippo Baudo e Pippo Franco. Ricordano i loro trascorsi scolastici
di bambini con il grembiule e la cartella con la merenda infilata dentro. Il
ministro cerca di dire che il ciclo primario è la prosecuzione dell’esperimento
degli istituti comprensivi (elementari e medie nello stesso istituto) voluti
dal ministro D’Onofrio. In studio gli risponde il leader del Cdu Rocco
Buttiglione. Il quale dice che la riforma ‘è immatura e intempestiva, inattuabile
a breve scadenza’. Tra l’altro, l’esponente del Cdu, rileva che dal piano non
sono chiari i contenuti programmatici dei diversi cicli.
Va poi in onda
l’intervento registrato dell’ex ministro Berlinguer, che è considerato da tutti
il padre di questa riforma. Parte sparato, Berlinguer. Non accetta la
strumentalizzazione di chi dice che verranno distrutte la scuola elementare e
la scuola media. Anzi, sostiene che con la riforma le due scuole verranno
valorizzate. Spiega che succede già in tutta Europa che ci sia un ciclo unico
di base e gli insegnanti collaborano insieme senza problemi. Anzi, pure in
Italia, nelle scuole Steineriane, gli alunni frequentano un ciclo unico con tre
insegnanti nei primi anni e sei o sette negli ultimi anni. Poi l’ex ministro propone
l’affondo, e dice:
“Il modello steineriano è stato scelto dai
coniugi Berlusconi per i propri figli e sono certo che abbiano scelto il
meglio. Il leader del Polo dia la stessa possibilità a tutti gli italiani”.
*
La storia... siamo
noi. Siamo
a dicembre. Una mattina, così, all’improvviso e a ciel sereno, il capogruppo di
Alleanza Nazionale alla Regione Lazio, fa una proposta. Vuole istituire una
commissione che dovrà svolgere un’attenta analisi dei volumi di storia in uso
nelle scuole. Egli dice per ‘evidenziarne le carenze e le ricostruzioni
arbitrarie’. Il consiglio regionale approva la mozione. È un vecchio
pallino del governatore della regione Francesco Storace: per lui i libri di
storia in uso sono tutti di ispirazione marxista. De Mauro attacca il
provvedimento con un articolo sul quotidiano Il Manifesto. Ma il problema è che
anche dentro il Polo nessuno è d’accordo e Storace rimane isolato. Sia Fini che
Berlusconi sconfessano l’iniziativa. Anche se cercano di minimizzare il loro
dissenso perché il governatore, sentitosi abbandonato dai suoi, minaccia
addirittura le dimissioni. Interviene sull’argomento il presidente del
consiglio Amato. Spiega che la politica non può interessarsi dei testi
scolastici e che la libertà non può essere imposta dall’alto. Da una
commissione che ricorda passati regimi e chiedendosi alla fine, in tutto
questo: “Che diavolo c’entra la Regione Lazio?”. A Storace i suoi fanno capire
di aver esagerato. Ma il governatore non è tipo da marcia indietro e poi ce
l’ha a morte con Berlusconi e company che lo hanno abbandonato. E si
intestardisce: “Sono pronto a ritirare la mozione se verrà abolito
l’insegnamento del novecento nelle scuole”. Poi, sarà che si avvicina la fine
dell’anno, si calma. La commissione non verrà mai nominata.
*
Buono-scuola. De Mauro sul
buono-scuola, nell'ultimo scorcio del duemila, combina un pateracchio da non
credere. Invitato a parlare alla conferenza nazionale sulla scuola del Ccd, la
combina grossa. Forse inconsciamente per tenerseli buoni, forse perché ha un
carattere che vorrebbe vivere e far vivere in pace tutti quanti, fa due cose.
Prima annuncia che
la legge sulla parità approvata a marzo lui la considera solo un primo passo. E
che bisogna migliorarla. Poi, a sorpresa, dice che non ha nulla contro il
buono-scuola così come è stato proposto dalla regione Lombardia. Anzi, rivela
che l’ipotesi del buono-scuola piaceva anche al presidente del consiglio Amato.
Applaudito per questo, ma criticato per la riforma, le sue parole innescano una
reazione catena. Parte subito il governatore Galan del Veneto. La sua regione
farà come la Lombardia. Non è più pensabile ad una scuola gestita dallo Stato,
devono essere le regioni a decidere.
La palla al balzo
la rilancia subito Formigoni, il quale dichiara che se il Polo vincerà le
elezioni il suo buono-scuola sarà esteso a tutto il territorio nazionale. Ma
poi si spinge oltre. Chiede al governo di estendere da subito, con un
emendamento alla finanziaria, la sua ipotesi semplice e chiara di rimborsare il
25% delle spese scolastiche alle famiglie.
Ancora non si è
manifestato il dissenso, e Buttiglione già profetizza che il ministro è troppo
ingenuo e non conosce i suoi.
“Prima di
accettare il buono-scuola, lo butteranno giù”, dice.
E infatti.
Iniziano i verdi a dire che ‘il ministro manifesta uno stato di confusione
tale da assecondare le derive discriminatorie dei più estremisti tra i
governatori’. È poi il segretario regionale della quercia milanese a
spiegare al ministro che il buono-scuola di Formigoni, di fatto, rimborsa solo
chi frequenta le scuole private. E senza nessun limite di reddito. In effetti
l’inghippo c’è. Formalmente è per tutti, ma alla fine ne beneficiano solo chi
iscrive i figli alle scuole private. In pratica, le legge regionale dice che se
non si superano le 400mila lire di tasse scolastiche non c’è contributo. Poiché
iscrivendosi alla scuola statale non si supera questa cifra, diventa pacifico
che a beneficiarne siano solo gli iscritti alle private.
E scoppia subito
un conflitto di attribuzione tra stato e regione. La delibera del consiglio
regionale lombardo è impugnata dal Commissario governativo che esprime dubbi
sulla sua costituzionalità: non si possono spendere soldi destinati a tutti gli
alunni, solo per alcuni. In pratica, alcune parti della delibera, dovevano
essere sottoposte al vaglio del governo per il via libera. Formigoni non ci
sta. Lo stato non può imporre la sua decisione, dice. La regione è autonoma e
secondo lui non deve chiedere nessun permesso al governo. Ne fa una questione
ideologica. Afferma che è una presa di posizione contro le regioni amministrate
dal centro-destra e fa sapere che non si fermerà. Gli animi si scaldano. Gli
studenti e la sinistra, come avevano manifestato contro la delibera regionale,
così organizzano un sit-in davanti alla regione per festeggiare il suo blocco,
voluto dal governo
De Mauro, intanto,
corregge il tiro. È per la parità senza alcun dubbio. Ma sul buono-scuola c’è
bisogno di più equità. Quello della regione lombarda favorisce solo i redditi
alti ed è passato a maggioranza nel consiglio. Di fatto, forzando la legge
regionale sui fondi dello stato da assegnare a tutte le scuole. Poi, trovatosi
a Milano, si lancia nel dire che se la regione continuerà nel suo intento,
perderà tutti i sussidi per il diritto allo studio. In pratica la questione
diventa tecnico-amministrativa: il consiglio regionale per dare i buono-scuola
non può utilizzare i fondi per il diritto allo studio di tutti. Togliendoli,
spiega il ministro, proprio alle fasce disagiate che ne avrebbero più bisogno.
Formigoni che al
momento non è a Milano, non perde occasione per rintuzzare e polemizzare anche
da lontano. Per prima cosa esordisce dicendo che il ministro è impazzito. Che
non conosce le leggi e il diritto, e che ha una concezione aberrante sui fondi
statali. Fa notare che De Mauro non ha atteso la decisione della Corte
Costituzionale da lui stesso invocata, e che quindi non ha rispetto per tale
organo. E che, alla fine, è come se avesse detto: “Se la Lombardia non si
adegua, io la punirò”. Formigoni aggiunge che chiaramente la Lombardia non si
adeguerà. Naturalmente il ministro non ha mai fatto una tale minaccia, ma
l’intelligente e simpatico sillogismo forzato di Formigoni glielo ha fatto
dire. Intanto sfilano gli studenti e la Cgil organizza petizioni contro tutta
la politica scolastica della regione Lombardia.
GENNAIO
– MAGGIO 2001
Ministro boccalone
e bocca larga. Il ministro pensa di poter dire tutto quello che
gli passa per la testa. E poi, abbocca facilmente a quelle domande che forse
non sono neanche tranelli, ma che possono diventarlo a seconda di come si
risponde.
E’ il gennaio del
2001. Le vacanze natalizie sono passate in fretta. Il lavoro al ministero non
manca, le novità sono tante, i problemi lo stesso. De Mauro ha appena nominato
i nuovi Direttori Scolastici Regionali, ne ha nominati 18 perché due sono
ancora da definire. Saranno loro che autonomamente organizzeranno la scuola a
livello regionale spazzando via i vecchi Provveditorati agli Studi. Appena
prima delle vacanze di Natale, per la prima volta, ogni scuola ha eletto i
propri rappresentanti sindacali interni, le RSU. Poiché ogni istituto è
autonomo anche finanziariamente, saranno la controparte della dirigenza per
decidere come spendere le risorse e come distribuirle in modo equo e
controllato. È talmente una novità per il mondo della scuola che non se ne
capisce ancora bene la funzione. Infatti, in questa prima tornata, verranno
eletti in maggioranza coloro che già collaborano con i dirigenti. E così in
sede di contrattazione saranno la parte e la controparte insieme.
In quei giorni
prende il via, anche se non in forma definitiva, l’istituto nazionale per la
valutazione delle scuole. Ci saranno nuovi criteri per evidenziare il risultato
degli apprendimenti. La pagella intermedia sarà data non solo alla fine del
primo quadrimestre, ma ogni due mesi. È un modo, spiega il ministro, per
seguire con serietà e analisi approfondita il percorso che ogni singolo
studente sta compiendo.
Poi, parlando di
innovazione, spiega ancora il ministro, c’è bisogno di superare
l’interrogazione come solo modo per misurare l’apprendimento. E propone prove
oggettive scritte capaci di rilevare meglio quale sia la preparazione dello
studente. Ricorda, anche, che l’interrogazione in alcuni paesi come
l’Inghilterra è superata dalla metà dell’ottocento. E che sia all’Università
che alle superiori il metodo di valutazione sono le prove oggettive scritte.
Ma come sempre,
appena si parla di valutazione, nonostante il ministro abbia spiegato che tutto
sarà fatto per assicurare più rigore, ognuno capisce quello che vuole. O almeno
il contrario. Partono dai giornali gli articoli di coloro che criticano la
scuola sempre e comunque, dando l’impressione che quasi godano dei suoi
malanni. Sono persone serissime e competenti. Sono sia di destra che di
sinistra. Questa volta dicono che sono tutte baggianate e che bisogna
riscoprire il sette in condotta per ridare finalmente serietà e rigore alla
scuola.
La risposta del
ministro è questa:
“Come no? Ma ad alcune condizioni: il ripristino
del primo Gabinetto Mussolini, e se venissero garantiti 20 anni di dittatura,
il ritorno alle elementari di quel tempo quando un quarto dei bambini arrivava
alla quinta elementare e il 10 per cento si iscriveva alle scuole superiori. Se
l’Italia tornasse ad essere il paese in cui il 70 per cento del reddito
proveniva dall’agricoltura. Se chiudessero buona parte dei giornali, se
venissero sospese le trasmissioni televisive e ripristinata l’EIAR e tutti
andassimo a piazza Venezia. Il sette in condotta faceva corpo con questa
visione dello Stato. Faceva corpo con le punizioni fisiche”.
Ma è a Genova che
il ministro si scatena. Il tema del convegno è ‘Quando la scuola fa notizia’.
Sono presenti cinquecento tra studenti e insegnanti, più un nutrito gruppo di
giornalisti di tutte le testate. Il ministro chiede ai convenuti se può fare il
’pippobaudo’. Poi prende il microfono e si lancia nell’arena. Interroga i
ragazzi, risponde a tutte le domande, mette in rilievo questioni, chiarisce
altre. Dice di aver usato il termine latino REBUS, che significa 'cose' al plurale,
e i giornali hanno riportato che è stato enigmatico. Avrà sbagliato lui ad
usare il latino? Intanto sulla riforma che il centrodestra vorrebbe abrogare,
lui è convinto che saranno le stesse scuole a non voler tornare indietro. Una
volta assaggiata l’autonomia sarà difficile che ci rinuncino. Poi, alla domanda
su qual è effettivamente il lavoro di un ministro, risponde:
“Per 140 anni è stato un signore che emanava i
programmi e gestiva gli insegnanti. Ma questo ruolo è ormai defunto:
l’autonomia ha assegnato alle scuole una personalità giuridica, ci sono i
direttori regionali e così il ministro si può occupare del livello di
apprendimento delle scuole. Politicamente quella di Ministro della Pubblica
Istruzione era una carica molto appetibile: egli poteva prendere un preside di
Enna e, se per esempio, apparteneva ad un partito politico diverso, poteva
trasferirlo in un’altra sede e a Enna poteva metterci un preside più affine
politicamente. Il ministero era essenzialmente un luogo in cui si smistavano favori
e disfavori a senatori e deputati. Le segretarie erano infilate in stanze
enormi, dove decine di persone ricevevano biglietti e li mandavano a
destinazione. Tutto questo fino a quando Berlinguer, Bassanini e Prodi hanno
trasformato il sistema”.
La descrizione
semplificata all’estremo, forse troppo, non piace affatto ai ministri che lo
hanno preceduto. D’Onofrio respinge le accuse e lo invita a denunciare gli
eventuali casi di corruzione che si sarebbero verificati durante il suo
ministero. Giancarlo Lombardi va oltre. Dice che al ministro evidentemente il
potere sta facendo perdere il senso della misura. E poi ancora: “Sta
distruggendo la scuola ma continua a creare caos con le sue dichiarazioni”.
Sarà, ma un po’ è vero che il ministro appena parla attira polemiche come un
parafulmine attira i lampi.
E, ancora non si
sono spenti gli echi di quando ha detto:
“La classe dirigente italiana non legge,
purtroppo ai libri preferisce l’elenco del telefono”.
E con dati alla
mano ha informato che il 65% della nostra classe dirigente non apre neanche un
libro all’anno, dicendosi per questo molto preoccupato. Anche su questo le
reazioni non sono mancate: si sono sentiti chiamati in causa tutti. Chi ha
bollato le sue parole come ‘fuori luogo e di cattivo gusto’, chi
ha detto di leggere poco ma di aver appena finito di leggere un libro, e chi,
arrabbiato, ha detto di non aver tempo per queste cose. Ma poi, ha precisato:
“Intanto noi, imprenditori, abbiamo dimostrato di creare ricchezza, invece
dalla scuola di De Mauro continuano ad uscire fior di somari”.
*
Alla scuola? Ci
penso io! Ma
per la scuola è come per il calcio, tutti sono in grado di fare la formazione
della nazionale. Così, tutti dicono come secondo loro dovrebbe essere la
scuola. E in questo non manca all’appello nessuno. Trapelano appena alcune
ipotesi fatte all’interno della commissione che sta elaborando i piani di
attuazione e i programmi per i cicli. Si parla, per la storia, per non
incorrere in ripetizioni e sovrapposizioni, di un unico curricolo verticale che
parte dai dieci anni e arriva ai quindici. Si tratterebbe di studiare tutta la
storia per una sola volta, in modo da farla coincidere con la fine
dell’obbligo. Chi prosegue farà poi gli opportuni approfondimenti. Praticamente
non è una notizia, è solo una delle ipotesi che è stata vagliata. Ma nessuno è
d’accordo.
Subito gli
insegnanti di storia, le associazioni specifiche e alcuni eminenti studiosi
della materia, dicono che in questo modo si decreta l’abolizione della
disciplina. Il coordinatore di Prisma (Progetto per la rivalutazione
dell’insegnamento e dello studio del mondo antico) arriva a dire che se passa
la riforma loro continueranno ad insegnare come hanno sempre fatto, ignorandola
completamente. Ci sono, invece, altri che molto più opportunamente, pur nella
critica avanzano anche delle proposte. Infatti, 33 storici, tutti di altissimo
valore scientifico, tra cui Gaetano Arfè, Francesco Barbagallo, Giuseppe
Galasso, Ernesto Galli Della Loggia, Rosario Villari, Pasquale Villani e molti
altri, inviano al ministro un documento nel quale dicono di essere in disaccordo
sul percorso unico di storia così come è stato prospettato. Propongono invece
due percorsi quinquennali: il primo dal terzo al settimo anno del ciclo di base
e il secondo per tutti i cinque anni del ciclo secondario. In questo modo chi
si diploma farebbe sì due volte la stessa storia, ma in rapporto all’età, la
prima volta affrontando uno studio più semplice per poi passare a quello più
approfondito. Nel documento suggeriscono anche di dare, nel ciclo primario,
molto più spazio alla storia nazionale ed europea, per rafforzare l’identità
culturale italiana e non lasciare che lo studio dello sviluppo mondiale ne
pregiudichi la valorizzazione.
In questo clima in
cui ognuno si inserisce con la propria idea, arriva al ministro un altro
suggerimento, sebbene un po’ inatteso nella forma. A scrivergli una lettera
aperta sul Corriere della Sera, è il suo predecessore, Luigi Berlinguer. De
Mauro gli dirà, in una uscita pubblica, che avrebbe anche potuto telefonargli.
Ma chissà, sarà la voglia di comparire, una punta di nostalgia. Fatto sta che
Berlinguer ricorda all’amico De Mauro di inserire la musica nei nuovi curricoli
del primo ciclo e in parte anche del secondo. Gli ricorda l’importanza della
musica nella cultura e nella formazione dell’uomo. E come la scuola italiana,
nonostante i tentativi, non sia riuscita mai a considerarla tale.
Dice:
“Parlo della musica per tutti, e
dell’apprendimento della musica vocale strumentale in senso pieno. Altra cosa è
l’educazione musicale, che è integrativa e non sostitutiva delle prima. Non
solo saper ascoltare, ma suonare”.
De Mauro assicura
che è d’accordo, ha preso nota e si impegnerà in tal senso.
*
Problemi... Ci sono, tra gli
altri, un paio di problemi in questo febbraio che assillano non poco il
professor De Mauro. A causa dei ritardi nella pubblicazione delle graduatorie
dei vincitori di concorso, ora finalmente pronte, si dovrebbero mandar via i
supplenti che stanno insegnando al posto dei vincitori. In pratica,
interrompendo la continuità didattica e creando ulteriori disagi. Poi, gli
fanno notare al ministero, se parte la riforma, nel 2007 si prevede una
cosiddetta onda anomala che travolgerebbe la scuola superiore. Perché? Lui
chiede. Gli rispondono che convivendo insieme la riforma e il vecchio
ordinamento, nel 2007 si iscriverebbero al secondo ciclo quelli che escono dai
sette anni del ciclo riformato in aggiunta a quelli vecchi. Nell’anno di
confluenza, si avrebbero difficoltà di personale, di edilizia scolastica e di
trasporti. Lo SNALS ne fa una bandiera. E chiede, per questo, che tutta la
riforma slitti di almeno un anno. Che in fondo sposterebbe solo il problema.
Insomma, sembra che la questione sia tutta nell’arrivare sani e salvi alle
elezioni, poi si vedrà.
Per il primo
punto, con un decreto, il ministro assicura la continuità didattica lasciando
gli insegnanti nelle classi dove stanno lavorando. Chi dovesse essere scalzato
dal vincitore di concorso, avrà assicurato il punteggio fino alla fine della
supplenza. Per la questione dell’onda anomala, il ministro prende tempo per
pensare ad una soluzione.
*
Il pianto antico. È il 22 febbraio
2001. De Mauro è a Napoli per partecipare ad un Simposio Internazionale
organizzato dai maestri di strada del progetto Chance. Si sente a casa sua.
Siamo in un salone del bellissimo Castel dell’Ovo, c’è tutta la Napoli
intellettuale, borghese e di sinistra. Ci sono psicologi e pedagogisti
nazionali ed internazionali. C’è un uditorio di insegnanti e dirigenti motivato
e attento. Il titolo del Simposio è ‘Il chiasso e la parola. Progetti per
adolescenti in contesti metropolitani’. Il ministro sta lì dalle dieci di
mattina. Ascolta i suoi colleghi dell’Università, poi le esperienze di scuole
difficili nei quartieri di New York. Prende la parola prima della pausa di metà
giornata. Sta parlando da un paio di minuti quando si mette le mani sugli occhi
e scoppia a piangere. Qualcuno pensa ad un malore. Ma lui si riprende subito e
rassicura tutti dicendo: “… è stato uno sfogo, scusate, è che mi sento in
famiglia”. Beve un bicchiere d’acqua, fa riferimento alla riforma che tutti
volevano e che ora nessuno vuole più, alle difficoltà, ai bastoni fra le ruote
lì, al ministero, e a questo tipo di stress che non è abituato a sopportare. In
fondo, il suo ottimismo iniziale, quando aveva detto che le riforme della
scuola avrebbero dovuto essere il chiodo fisso di tutto il governo, è andato
via via scemando. È successo quando ha capito che la scuola, per la politica,
oltre a suscitare poco interesse, spesso diventa un problema. Con gli alleati
di governo, con i sindacati, con i poteri forti, come per esempio, con la
chiesa. E questo il ministro già lo sapeva, non è l’ultimo arrivato. Ma un
conto è saperlo, un conto è vivere tutti i giorni la sensazione di essere
sopportato. Lui che con il suo entusiasmo caratteristico parla di ‘scuola di
tutti’, ‘non uno in meno’, e sente, aprendo una porta, un suo alto
funzionario che si sfoga con gli altri usando parole come: “Ma dove sta scritto
che tutti debbono andare a scuola?”.
Insomma, la
contraddizione è palese. Ci vuole forza fisica e mentale per affrontare un
ambiente se non ostile, certamente non favorevole. E così, al ministero, il suo
pane quotidiano è fatto di piccoli ritardi, incartamenti che non passano di
mano, dimenticanze opportunamente studiate. Ma a chi lo dice? Praticamente
sembra che nessuno sia con lui. Se la destra va all’attacco, da sinistra
qualcuno lo paragona a D’Onofrio e parla di sfascio della scuola italiana con
questa riforma. Sembra che si goda a vederlo in difficoltà. Paradossalmente,
solo il cardinale Carlo Maria Martini ha parole di conforto nei suoi confronti.
E dice, mosso forse da pietà cristiana e vedendolo in difficoltà:
“La riforma deve essere vista come un’impresa
comune a cui cooperare e a cui dare il proprio contributo, anche da diversi
punti di vista. Perciò, a differenza di come si è sviluppato, soprattutto a
livello mediatico e politico, crediamo che sarebbe molto opportuno che il
dibattito rimanesse lontano da ogni logica o tattica di schieramenti al fine di
perseguire soltanto i veri interessi degli studenti e delle famiglie”.
Beh, non c’è che
dire, queste ‘sante’ parole avrebbero dovuto, se non essere pronunciate, almeno
appoggiate e fatte proprie da tutto il governo, come minimo. Invece, silenzio.
Dopo le lacrime De
Mauro avrà, attraverso un’intervista, la solidarietà di Luigi Berlinguer. Che
dice di provare grande affetto e comprensione per l’amico. E ricorda che loro
non fanno politica per guadagnare, ma per spirito di servizio. Certo che
bisogna essere più duri per affrontare un lavoro come questo; lui ci è più
abituato per aver fatto politica da sempre, ma Tullio su questo fronte è
scoperto. Interessante nella stessa intervista un particolare che è come se
sfuggisse di bocca all’ex ministro. Dice,
“Sono d’accordo con Berlusconi quando dice che
ci vogliono dieci anni per cambiare l’Italia. Per la scuola ci devono dare
dieci anni. I primi cinque li abbiamo fatti. Poi passeremo la mano”.
Praticamente è una
specie di resa a qualche mese dalle elezioni. O forse preveggenza, o
semplicemente realismo.
Supplemento di
lacrime e spiegazioni.
Solo per senso di
completezza, nello stesso convegno di Napoli, il giorno dopo piangerà un altro
ministro, Livia Turco, titolare della Solidarietà Sociale. Collegata in
videoconferenza da Torino, vuole dare il suo contributo al dibattito sulla
scuola abbandonata dai ragazzi difficili. Dice che per recuperarli c’è bisogno
della collaborazione di tutti. Poi, ricordando le lacrime del ministro De Mauro
del giorno prima, le manca la parola, le viene un nodo in gola e anche a lei
spuntano le lacrime. Puntuale scatta l’applauso solidale degli insegnanti
napoletani, ormai avvezzi.
*
Sarà poi lo stesso
ministro De Mauro a spiegare, con una lettera sulla prima pagina del quotidiano
La Repubblica, che cosa c’era dietro il suo pianto. Lui lo chiama eccesso di
passione e di emozione. Lo stress conseguente è dovuto al fatto che la scuola
sta troppo spesso sui giornali. E a questo, si rammarica, ha contribuito anche
lui. C’è poi, l’esasperazione della conflittualità politica, a cui il ministro
non ha contribuito, anzi ne è stato vittima. Fa un elenco di tutto quello che è
stato fatto per la nuova scuola dal centro sinistra. Dall’autonomia,
all’Istituto nazionale per la valutazione, alla riforma dei cicli con quello
che ha comportato in termini di impegno, continuità, perseveranza. Sorvola
sulla parità (ma sarà stata una dimenticanza?). Nel ragionamento del ministro è
messo in risalto come c’erano richieste che da decenni il mondo della scuola
aveva avanzato alla politica, e a cui nessuno aveva dato finora risposta.
Ricorda, ancora una volta, che la scuola così riformata ha avuto come faro e
guida l’articolo 3 della Costituzione. Vale a dire la rimozione di tutti gli
ostacoli che si frappongono allo sviluppo della persona e impediscono la libera
partecipazione alla vita della Nazione. Una scuola di tutti e di tutte, non uno
o una in meno.
Ci tiene a
sottolineare che è previsto, per la prima volta in una legge sulla scuola, che
ogni tre anni governo e parlamento saranno tenuti a verificare come stanno
andando effettivamente le cose nelle scuole italiane. Sono queste, conclude, le
ragioni ‘di quel di più di passione e di emozione’ che lui ha messo nel suo
lavoro e che spera gli vengano riconosciute. E per questo, spera, gli vengano
perdonate le lacrime.
*
Orecchie d’asino e
imbecillotti. All’inizio
di marzo il ministro è invitato dal rettore dell’Università Cattolica di Milano
a tenere una lezione di linguistica. Ci sono altri studiosi della materia.
Nell’aula Pio XI dell’Università, le prime tre file sono occupate dai docenti,
poi tutti gli studenti assiepati. Sono le 14.30, si inizia. Una vera e propria
ovazione viene riservata al Rettore. Gli studenti gli tributano dieci minuti di
applausi. Un segnale di affetto e di riconoscenza. Lo stesso rettore, appena
dopo, dà la parola al professor De Mauro, ringraziandolo per la sua cortese
presenza in veste di studioso. Il ministro sta per iniziare a parlare, solleva
gli occhi verso la platea che ha di fronte e vede che tutta l’aula, in massa,
si alza in piedi. In silenzio, gli studenti mostrano centinaia di fotocopie con
la sua faccia sormontata da due orecchie di asino. Un solo grande manifesto
viene esposto in fondo e dice: “Gli animali si addestrano, gli uomini si
educano”. Poi, in religioso silenzio, in fila, se ne vanno tutti lasciando l’aula
vuota. Se si escludono le prime file, quelle dei docenti, non c’è più nessuno.
Il ministro tenta
di fermarli, chiede loro di restare e di esprimere il dissenso con le parole.
Quelli neanche rispondono. È una protesta inscenata da Ateneo Studenti, un
gruppo vicino a Comunione e Liberazione. Sono contro la riforma della scuola
che secondo loro abbasserà il livello culturale anche dell’Università. I
professori tentano di scusarsi, ma la frittata è fatta. Il rettore non
interviene subito sull’argomento ma convoca il senato accademico per prendere
le distanze da queste forme di protesta che, dice, non si addicono al decoro
dell’università. Il ministro alla fine non se la prende più di tanto. Ostenta
sicurezza, e afferma:
“È stata la mia prima contestazione, ma erano
solo quattro imbecillotti… mi è dispiaciuto solo che non si sono fermati, gli
avrei spiegato che la scuola che abbiamo in mente è di alto livello culturale e
vuole garantire a tutti un’alta preparazione”.
Ricorda solo che
gli stessi ragazzi, al Meeting di Rimini dell’estate scorsa, avevano applaudito
fortemente Berlusconi che presentava la scuola dell’impresa, di internet e
dell’inglese. E ora, invece, se la prendono con la scuola che secondo loro
sarebbe dell’addestramento e non della cultura.
Il Ppi e i giovani
universitari cattolici prendono le distanze dalla protesta inscenata contro De
Mauro. Chiamano ‘talebani’ i ragazzi vicini a Comunione e Liberazione,
soprattutto perché si sono sottratti al confronto sollecitato dallo stesso
ministro contestato.
*
Si smobilita. Siamo a marzo e
nel governo ormai c’è aria di smobilitazione. I sondaggi danno vincenti
Berlusconi e il Polo. Ma non di tantissimo, e un recupero in questa fase è
sempre possibile. Basta crederci, avere un programma adeguato e persone giuste
per spiegarlo. O, se vogliamo, per pubblicizzarlo.
De Mauro nelle
varie uscite pubbliche a chi gli chiede se si candiderà con il centrosinistra,
annuncia che tornerà al suo lavoro all’Università. C’è da dire che, molto
probabilmente, nessuno lo propone tra i possibili candidati. Rutelli, il
candidato premier, ha il suo bel da fare con le liste, i nomi da inserire, le
caselle da riempire, gli equilibri da rispettare. E poi, ogni minuto scoppia
una polemica. Figuriamoci se pensa al professor De Mauro. Lui fa buon viso a
cattivo gioco. Ma dentro, un po’, si sentirà preso per i fondelli.
*
Immobilismo e
novità. Sulla
scuola il governo di centrosinistra ha fatto molto. Sono andate in porto
moltissime novità, dopo decenni di immobilismo la scuola si è mossa. Ma di
tutte le cose che sono partite, nessuna ha cominciato a marciare. Forse neanche
a camminare veramente. Ha fatto solo i primi, timidi, passi.
Luigi Berlinguer
intanto gira l’Italia per presentare il suo libro sulla esperienza di ministro
della pubblica istruzione. Il libro si chiama ‘La scuola nuova’ e la prefazione
è di Tullio De Mauro.
Per la riforma,
più che un cammino in salita, lui dice che si è trattato di scalare una parete
di ghiaccio. Le difficoltà sono state tantissime, ma alla fine ce l’ha fatta.
La nuova scuola ormai è una realtà incontestabile.
E sintetizza i punti
fondamentali, che sono:
1.
Autonomia
2.
Riordino dei cicli
3.
Legge sulla parità
4.
Estensione dell’obbligo scolastico
5.
Nuovo contratto del personale scuola
6.
Istituto nazionale di valutazione.
*
Visioni e
visionari. Gli
ultimi scampoli di una visione diversa della vita e della società si giocano
anche sulla scuola. Avviene tra aprile a maggio del 2001, in piena campagna
elettorale. E questa visione verrà sconfitta.
Siamo ai primi di
aprile, il ministro De Mauro e Sergio Cofferati, segretario generale della
Cgil, si trovano a Milano. Si parla di immigrazione, in un istituto tecnico. La
platea è fatta in gran parte di studenti.
Cofferati dice:
“Il futuro è una società multietnica, e non è
una previsione ma un fenomeno certo. La riforma dei cicli scolastici ha in sé
tutti gli strumenti per potenziare le politiche di accoglimento”.
Il ministro parla
della riforma che partirà a settembre. Alla fine una domanda d’obbligo se ‘il
13 maggio dovesse vincere le elezioni la Casa delle Libertà, tutto il lavoro
degli ultimi anni verrà vanificato?’. De Mauro risponde che è impossibile.
Il processo è avviato e nessuno potrà farlo tornare indietro. Poi, fa l’esempio
dei presidi che hanno avuto un consistente aumento di stipendio e la funzione
del ruolo dirigenziale. E non credo, dice, che abbiano voglia di tornare a
com’erano prima.
Qui però tutti,
anche il ministro, giocano a confondere e a confondersi. Si omette di dire che
delle sei novità che sono state elencate e che sono il fiore all’occhiello di
Berlinguer, l’eventuale vittoria di Berlusconi bloccherebbe solo la riforma dei
cicli, quella che ha tutti contro. Delle altre novità i giornali hanno sempre
parlato e continueranno a parlarne poco.
*
Scaramucce. Le ultime scaramucce
sulla riforma dei cicli, che si riveleranno alla fine tutte inutili, si giocano
tra il Consiglio nazionale della Pubblica Istruzione e il Consiglio di Stato.
Ecco come. Il Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione nella seduta del 10
aprile boccia il regolamento d’attuazione della riforma. Il Consiglio è un
organo consultivo, il cui parere non è vincolante. È composto da 70 membri
eletti e provenienti dal sindacato, dal mondo delle imprese e della scuola. Il
blocco è stato votato da Cisl, Gilda e SNALS, che avevano presentato una
mozione contro l’avvio dei cicli per il prossimo anno scolastico. Erano
presenti una cinquantina di membri. Al momento del voto la Cgil ha abbandonato
l’aula essendo in disaccordo con la mozione. Prima però ha chiesto la verifica
del numero legale che la presidenza ha negato.
Il ministro
afferma che il processo di avvio della riforma dei cicli, con le prime due
classi della scuola di base, partirà comunque il primo settembre del 2001. Dice
di trovare paradossale il parere del Consiglio Nazionale che prima gli chiede
delle proposte tendenti a migliorare le indicazioni curricolari, e poi alla
fine boccia tutto. Gli sembra che succeda come al personaggio di Luca nella
commedia di Eduardo, ‘Natale in casa Cupiello’, che ripete ossessivamente: “Non
mi piace il presepio”. È evidente che a quelli del Consiglio nazionale della
Pubblica Istruzione, non piace la riforma, conclude il ministro.
Intanto il 9
maggio, quattro giorni prima delle elezioni, il Consiglio di Stato esprime
parere positivo sullo schema di regolamento dei nuovi curricoli della scuola di
base predisposti dal ministro. L’organo costituzionale di suprema giustizia
amministrativa, anzi, mette in rilievo che la riforma rappresenta un’autentica
svolta positiva, ‘un’inversione di rotta rispetto al vigente ordinamento
scolastico’. Praticamente la lettura dei giudici è ampiamente favorevole,
anche in virtù del fatto che siano stati ‘individuati strumenti per far
acquisire agli alunni competenze non solo conoscitive’. Quindi, si
sottintende, anche una base culturale più ampia. Ora basta la firma del
ministro, che nel frattempo si trova in Giappone, e poi tutto verrà inviato
alla Corte dei Conti.
*
Scelte elettorali.
Da
quello che si vede, risulta chiaro ed evidente che nella campagna elettorale il
centro sinistra sceglie intenzionalmente di non parlare di scuola. E così, per
non irritare la metà e oltre degli italiani che sono contro la riforma dei
cicli, evita anche di ricordare tutte le altre cose che sono state fatte. Finanche
di spiegarle. De Mauro aveva detto, ma non in campagna elettorale, che erano
state fatte da Berlinguer (e continuate da lui) più cose per la scuola e per
l’Università che da tutti gli altri ministri di prima messi insieme. Ma nessuno
lo aveva ascoltato.
Gli strateghi
dell’Ulivo scelgono per la scuola un programma che potrebbe essere sintetizzato
così: per i prossimi cinque anni l’obiettivo dell’Ulivo è portare Internet in
tutte le scuole, un computer per ogni studente. Poi, investimenti per
ristrutturare le scuole; per portare gli stipendi degli insegnanti ai livelli
europei; per finanziare il diritto allo studio, a partire dalle spese per i
libri di testo. L'Ulivo prevede il diritto delle famiglie di scegliere il tipo
di formazione, ‘garantito dalla parità tra scuola pubblica e
privata’. In pratica nessuna differenza con il programma della Casa delle
Libertà. E, per finire, come se non ci fossero stati loro al ministero negli
ultimi cinque anni, neanche un accenno alle riforme in corso. All’autonomia, in
primo luogo, e a tutto il lavoro finora svolto.
Ma è nel corso
della campagna elettorale, in un dibattito televisivo tra Fini e Fassino, che
si raggiunge il culmine. Tutti e due parlano di scuola, ma nessuno sa di cosa
sta parlando. Buttano lì, nel dibattito, notizie false e insensate, muovendosi
reciproche accuse senza capo né coda. Si percepisce che nessuno dei
due conosce veramente la riforma. Gli scambi sono di questo tipo: Fini accusa
la sinistra di volere un unico maestro per i sette anni del ciclo di base.
Fassino risponde che ci saranno libri gratis per tutti fino al compimento
dell’obbligo. Nessuna delle due cose è vera, ma intanto le dicono e ci litigano
pure sopra. Insomma, sembra tornata la vecchia incompetenza, negligenza e
disinformazione sulla scuola che negli ultimi anni, bene o male, era stata in
qualche modo combattuta. Evidentemente senza successo.
Post. De Mauro, appena
dopo, dirà di avere un solo rimpianto. Che il Consiglio di Stato avrebbe potuto
approvare un po' prima i decreti sul riordino dei cicli e quindi farli andare
in vigore. Invece, l’ufficio del Guardasigilli (il ministro Fassino) ritardò di
un mese l’invio in parlamento del piano di fattibilità, e questo ritardo fu
fatate. Il Consiglio di Stato approvò rapidamente i decreti, ma la Corte dei
Conti se li tenne fino a dopo le elezioni, dando la possibilità al governo
Berlusconi di cancellare tutto il lavoro fatto.
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