Dario


racconto


Non avevo la forza di alzarmi dal letto, mi mancavano le forze. Mi facevo la pipì addosso, non ce la facevo fisicamente ad alzarmi, se pure mi tiravano su, appena mi lasciavano, cadevo giù come un sacco vuoto. Però avevo la mente così lucida che non mi abbandonava, non riuscivo a lasciarmi andare, ero teso e lucidissimo, sentivo e percepivo tutto. Il fisico, invece, aveva ceduto.

 [Dario era molto bello, aveva sedici anni. Frequentava l’Istituto  Pascoli. È morto nel 1965, mi sono diviso da mia moglie nel 1974.
Era una mattina così, e poi è arrivato qualcuno. Dario ha fatto un incidente, è caduto dalla moto].

Vivevo senza interessi. Avevo una Porche giù che non mai più guidato  e una barca di dodici metri ormeggiata, che è stata ferma lì, rifugio dei pescatori. 

Sono quaranta anni che ogni giorno, senza eccezioni,  io penso a lui.
Il giorno del funerale, una brava ragazza, amica di famiglia e conoscente di Dario, in chiesa, mentre si svolgevano i funerali, si lasciò andare a delle vere e proprie scene di dolore straziante. Urlava, si aggrappava alla bara, si strappava i capelli. Tutti volevano farla smettere, dicevano che disturbava, che non era educato. Io, invece,  feci cenno che non la fermassero. La ragazza mi aveva sostituito. Se non lo avesse fatto lei, avrei avuto tanta voglia di farlo io. In effetti mi stava facendo un favore. Mi stava sostituendo.
Nei tre giorni che fu in coma, mia moglie non si alzò un solo momento dal suo capezzale, sempre a tenergli la mano.
Dopo, ogni mattina andavamo al cimitero, alla sua tomba. Mia moglie puliva ossessivamente tutto quello che c’era lì, lucidava col sidol tutte le maniglie che ci stavano. Io l’aspettavo, entravo in un bar e prendevo due cognac. Praticamente non so come riuscivo a tornare a casa, completamente brillo.
Una volta a casa, mia moglie, puliva la camera del figlio, gli stirava il pigiama, le camicie, spolverava la sua camera.

Quando ci siamo lasciati io e mia moglie, erano passati nove anni dalla morte di nostro figlio. Era completamente impazzita dal dolore. E, ormai, mi identificava con la sua tragica vita. Vedeva in me, senza volerlo, la persona che l’aveva trascinata  in questo destino così intollerabile.
I miei amici più intimi e fidati sono stati i cani. I miei cani. Certo avevo amici che mi aiutavano, ma quando la sera restavo solo, o le domeniche mattina, le più vuote e brutte da sopportare, loro sono stati quelli che mi hanno salvato con il loro affetto.