Qualità del Benessere – Benessere della Qualità nella Scuola
di Francesco
Di Lorenzo
I.
Parlare o
riparlare di qualità nel contesto scolastico sta diventando un discorso non più
procrastinabile. Si avverte il bisogno di passare dall’enunciazione di un’idea
e di una moda temporanea, alla definizione di un’ideologia confermata. La
qualità scolastica come concetto fa parte ormai dell’essenza che sta alla base
dell’agire di ogni singola scuola. Come tale, ora, andrebbe verifica con dati
empirici e non più con semplici ipotesi.
Nel discorso,
però, dovrebbe trovare spazio anche una considerazione su un aspetto
particolare della qualità: un aspetto legato al lato psichico o psicologico di
ognuno di noi, sia operatori di scuola che semplici fruitori del servizio. Si
tratta del benessere che si vive all’interno dell’istituzione. Forse, è venuto
il momento che anche nella scuola si cominci a parlare di benessere. Con
qualche precisazione, naturalmente. Il benessere di cui parliamo è quella
condizione che ci fa stare bene con noi stessi e con gli altri e che ci dà la
possibilità di aumentare la nostra efficienza.
La scuola non
vive momenti facili, questo è un tormentone un po’ abusato, ma è anche una
semplice verità. Ci sono sempre nuove richieste che vengono dagli alunni e
della società in generale e le risposte non sempre adeguate alimentano un clima
poco positivo, con il malessere che coinvolge e travolge insegnanti ed alunni.
Le note vicende sul ‘bullismo’ e sulla violenza nelle classi ne sono un ultimo
esempio.
II.
Intanto, in
alcune correnti della psicologia contemporanea si sta sempre di più affermando
l’idea che molto del malessere che accumuliamo deriva dalla incapacità di
gestire in modo positivo le nostre relazioni. Inoltre, c’è la consapevolezza
che il benessere non è una condizione data dalla nascita, ma che si può
imparare a stare bene e, di conseguenza, si può insegnare a farlo. Tale
consapevolezza rimanda così all’idea che qualità della vita si ricostruisca
imparando il ‘benessere’.
Chi ha
dedicato all’argomento studi e riflessioni è stato il professore Enzo Spaltro
dell’Università di Bologna. I capisaldi della sua idea di benessere potrebbero
avere nella scuola un effetto salutare, ed attivare un circolo virtuoso di cui
si ha sempre più bisogno. In effetti, si potrebbe ipotizzare l’idea di una vera
e propria formazione del benessere,
i cui punti in forma sintetica e da approfondire potrebbero essere i seguenti.
1° Punto
Partiamo dalla
constatazione che viviamo in una società condizionata dal malessere. Nella
scuola, termini come ‘burn out’ sono entrati a far parte del vocabolario di
ogni insegnante. Ma l’argomento viene da lontano: nella scuola (in generale) si
è sempre premiata la sofferenza: ‘imparare è soffrire’, la tradizione ‘volenti
o nolenti’ è questa. Da qui, una ‘ipotetica pedagogia del malessere’ sentenzia
‘se non fai questo – ti punisco!’. Invece, ci sarebbe da contrapporre una
altrettanto ‘ipotetica pedagogia del benessere’ che dica (come assunto
principale) “ Se fai questo – ti premio!” Se ci pensiamo bene, nella scuola, la
promessa è rara; la minaccia – è frequentissima.
Il passaggio
verso la rivalutazione del soggetto è fondamentale per costruire il benessere, perché il benessere è esso stesso soggettivo. Quando si
parla di soggetto è ovvio che si intende sia chi insegna sia chi apprende. È
certo che tutti vorrebbero stare bene: c’è nel soggetto la tensione naturale
verso il benessere. Ma spesso non basta il volerlo. C’è bisogno anche di sapere
come fare. Dunque, chi meglio della scuola potrebbe proporsi a farlo?
Un altro
assunto fondamentale che scaturisce da quanto finora detto è che il soggetto
non è pensabile senza pluralità e partecipazione. Come diceva Don Lorenzo
Milani:
“Nessuna
conoscenza è vera se non è condivisa.”
2° Punto
Una volta
consapevoli che il benessere non ci è
dato dalla nascita, è importante capire come si fa a raggiungerlo. C’è
necessità di studiare, avere voglia di apprendere con metodi antitradizionali,
uscendo dal solco del già tracciato, entrando nei territori dell’inesplorato.
Una delle condizioni dello ‘star bene’ essenzialmente si attiva imparando a
relazionare. Nella società della
comunicazione, spesso ci sono difficoltà nel porsi in relazione con gli
altri. Imparare a farlo, condizionati come siamo dai surrogati della relazione,
telefoni e computer, è indispensabile. Dobbiamo porci l’obbiettivo di riuscire
ad entrare in contatto con chi circonda e costruire rapporti significativi, non
standardizzati. Naturalmente, si parla di relazione vera, quella personale e dal
vivo, non mediata.
3° Punto
Una volta
capito che si deve imparare qualcosa, la scuola, che è il luogo dove si
apprende, diventa il fulcro di tale discorso, attivando fino in fondo la sua
ragion d’essere. La scuola dovrebbe insegnare a ‘stare bene’. Questa idea,
semplice e complessa allo stesso tempo, ci porta alla riflessione che se si
insegna benessere, dopo diventa più
facile anche insegnare e imparare tutte le materie, facendo sì che la scuola in
modo serio e consapevole attui i suoi principi di efficacia e di efficienza.
L’idea di una scuola che in un futuro immediato possa essere basata su queste
coordinate potrebbe essere coinvolgente e interessante.
4° Punto
Nella scuola,
oggi, il modello classico dell’allievo che impara e dell’insegnante che insegna
è crollato. Le tecnologie hanno dato a tutto ciò una spallata non di poco
conto. Alla consueta simmetria che si impara ciò che si insegna, con
l’introduzione di altri modi di fare, in primis della multimedialità che
propone più livelli contemporaneamente, le cose non appaiono più così lineari
come una volta. Ecco che allora potrebbe imporsi oggi il modello del
‘fraintendimento collettivo’: chi impara – ha sempre qualcosa in più rispetto a
chi insegna. Ad una cosa non ne corrisponde un’altra. Il modello ‘creativo’ è
asimmetrico: non sempre quello che si insegna si impara. Anzi, molto spesso si
imparano cose che non si insegnano affatto, o, almeno, non nel modo in cui
siamo abituati a conoscere. Dice Spaltro:
“Io insegno,
tu puoi elaborare il mio insegnamento in tanti modi diversi, a seconda della
tua creatività. Contemporaneamente, io, mentre insegno, imparo. Non esiste nei
fatti una assurda e anacronistica divisione dei compiti.”
Si impongono
intanto alcune forme di formazione. Il ‘Training-group’ (imparare ad imparare)
è il modello di base e dell’attenzione ai processi, invece, che ai semplici
contenuti. È, forse, la tecnica più espressiva delle dinamiche di gruppo. È
stata ideata da Kurt Lewin, considerato il padre della teoria dei gruppi. In
realtà, è stimata come una delle tecniche che più dà la possibilità di un vero
cambiamento personale. Durante un ‘T-group’, sotto la guida di un conduttore
esperto e di un osservatore, si sperimentano le propri capacità di saper stare
in un gruppo e si vivono quì ed ora tutte le
dinamiche che si incontrano nella vita reale. Si sperimenta la propria capacità
di stare con gli altri e, in una situazione controllata, si ha la possibilità
di capire limiti e possibilità.
5° Punto
Come suo
connotato di base, l’ipotesi di una formazione dedicata esclusivamente al benessere, dovrebbe nello stesso tempo segnare il passaggio da una cultura di coppia ad una
cultura del piccolo gruppo. La cultura di coppia è limitante, non riesce a
cogliere la forza e la complessità dei molteplici punti di vista. La cultura
del gruppo mette al centro il rilancio della pluralità come riscoperta del
soggetto. La soggettività si esprime nel gruppo o, altrimenti, non è valida.
Così come si è già detto per la conoscenza. Insieme al corollario di una serie
di concetti che potrebbero sembrare fuorvianti, ma che a rifletterci potrebbero
contenere efficaci energie positive: si tratta di riscoprire l’importanza dei
ruoli intermedi, del ‘doppio gioco’, dell’essere al servizio di due idee
contemporaneamente, di non essere solo drasticamente di un bianco o di un nero.
Ma, la
condizione fondamentale di una nuova visione delle cose, resta il senso dell’appartenenza. La condizione per qui il
gruppo si realizza e la scuola può aspirare a diventare di qualità, è il nostro sentimento di appartenenza a quel gruppo, a
quella istituzione. E per far sì che si ‘appartenga’ – dobbiamo rinunciare
all’idea di essere il tutto e di voler dominare il gruppo: la nostra singola
rinuncia è la garanzia che di quel gruppo faremo parte.
6° Punto
Il sesto punto
è dedicato alla proposta di introdurre in modo sistematico e non sporadico
nella scuola la cultura della negoziazione e della pluralità. Se si comincia a
considerare il conflitto come una risorsa, si pongono le basi per il pluralismo
e, quindi, per il benessere. Anche se
accettare una simile condizione non è certo più comodo. Inoltre, il gruppo come
idea, come cultura, avendo più sensori e più ‘occhi’, pone seri problemi al
mito dell’obiettività. Su mille cose considerate come obiettive, al massimo ce
ne saranno dieci veramente tali. Il resto è tutto costruito dalla soggettività.
A pensarci bene, l’obiettività è solo la soggettività imposta come obiettività
da chi ha la forza o il potere di imporla.
L’esempio più
evidente nel mondo del lavoro ci è dato dal Taylorismo,
che significa unicità di comando, suddivisione del lavoro, parcellizzazione.
Oggi, nessuno ne parla più. Eppure, pochi anni fa non si credeva possibile
uscire da questo modello.
L’esempio ci
fa capire come alcuni modelli che sembravano oggettivi, in fondo, non lo erano
per niente. Prendiamo l’unicità di comando: la ricerca e la pratica hanno
dimostrato che non sempre è necessaria. Possono esserci due, tre capi in un
gruppo: dipende dal tipo di gruppo e dalle sue funzioni.
7° Punto
Bisognerebbe,
intanto, anche rilanciare l’idea della costruzione soggettiva della realtà.
Tutto quello che vediamo è costruzione dell’uomo-soggetto, ed ogni uno di noi
si costruisce la propria realtà. Quelle che sembrano le nozioni più obiettive
(la natura, il clima) in fondo dipendono dalla nostra fantasia, dalla nostra
percezione, dalla nostra capacità di costruire.
Siamo abituati
a pensare che la nostra soggettività non conta niente (o poco) e che tutto
dipende dalla struttura e dall’economia. Invece, ormai si è capito che sì
l’economia ha la sua importanza, ma è anche vero che i grandi economisti
continuano a fare previsioni che poi, inevitabilmente, si rivelano sbagliate.
Questo vorrà pur dire qualcosa.
Noi siamo in
grado di costruire la realtà. Le variabili oggettive dipendono dalla variabile
indipendente che è la soggettività.
La fine del
mito dell’economia la dice lunga sull’argomento. Come si è detto, gli
economisti vengono sistematicamente smentiti nelle loro previsioni.
La scuola
dovrebbe dotarsi (quando non lo fa o non lo fa in modo generalizzato) degli
strumenti e delle persone adatte all’apprendimento e all’insegnamento delle
variabili soggettive. L’individualizzazione e poi, la personalizzazione
dell’insegnamento che ci sono – sono dei passi,
ma, forse, se non sono inserite in un contesto di gruppo e di
appartenenza, perdono la loro energia.
8° Punto
Occorre, in
fine, che la scuola pensi anche alla costruzione di una nuova cultura. Perché non cominciare a considerare che la base
dell’apprendimento è sabbatica? Il sabato ci attira di più: c’è il fascino
dell’imminenza, delle cose non finite piuttosto di quelle concluse. Noi tutti
ci accorgiamo che impariamo di più e siamo attratti dalle cose imminenti,
quelle che devono ancora avvenire, che sono in costruzione, piuttosto che da
quelle finite e definite. Contrapporre il sabato alla domenica intesa come
festa già avvenuta e riconosciuta, alla domenica – come conoscenza già definita
e conclusa. Borges diceva che “L’imminenza di una rivelazione che sta per
compiersi e non si compie, questa è forse la natura del fatto estetico.” E da
quì, sarebbe poi ora di introdurre nella scuola una sorta di dimensione estetica in forma massiccia e
continuativa. C’è bisogno di una considerevole dose di bellezza per far
dimenticare le bruttezze che ci sono state somministrate per anni. Il benessere è sempre basato sul bello,
sulla forma e sullo stile del bello; sulle cose che devono avvenire; sul trend;
sulle possibilità e sul futuro. Concorrere alla costruzione di una nuova
cultura con alcune di queste idee o, anche con altre, può essere la base di impresa o di intrapresa che, certamente, darebbe slancio e vitalità
all’istituzione.
Conclusioni
Uno dei
principi che dovrebbe essere chiaro nella sua semplicità è che nella scuola si
deve evitare di colpevolizzare il benessere.
Come nella vita di tutti giorni, anche nella scuola si continua con quella
strana forma di comportamento per cui si ha paura di ‘stare bene’. Fateci caso,
è sempre difficile dire che stiamo bene: come se il nostro benessere dovesse
essere causa del malessere degli altri. Esiste un altro strano comportamento
(nella scuola come nella vita) ed è quello per cui si chiede molto alla
politica, ma si dà poco ad essa. Si chiede di risolvere i problemi, ma quasi
mai si indicano le possibili soluzioni. In fondo, sono pochi quelli che vedono
i problemi e dicono anche cosa si dovrebbe fare. Criticare solo non serve a
molto. Proporre soluzioni, invece, è un notevole passo avanti: significa che si
è pensato, che si è ricercato, ci si è attivati.
In
conclusione, l’ipotesi entusiasmante potrebbe essere questa: che la scuola
diventi il centro dell’offerta del benessere,
mutando la sua essenza e re-inventando slogan come “Insegnare e imparare è piacevole!”
e smontando i luoghi comuni sulle materie facili e difficili (considerando che
a chi piace l’algebra non è difficile studiarla).
Tutti sanno
che imparare è bello, eppure non si riesce scardinare il luogo comune che è
anche difficile; mentre è vero che imparare è piacevole. Convincersi (ma
seriamente) che in nessun lavoro e, tanto meno nella scuola, la produttività la
si raggiunge con il malessere.
Il fondamento
del benessere nella scuola nasce dal
piacere di pensare. Se si riesce a togliere l’incrostazione intellettualistica
a questa semplice verità, forse potranno liberarsi energie e positività
inaspettate per la qualità.
Si potrebbe
così costruire una vita di qualità.
Per
raggiungere tutto questo ci vogliono tempi lunghi. La tendenza alla formazione
del benessere, quindi, consiste nella
speranza di imparare. Ma, i tempi lunghi non devono spaventare. Importante è
iniziare un cammino. Nessuno è insostituibile e, certamente, qualcuno
continuerà il percorso che si è iniziato.
*
Questo articolo vuole essere
un omaggio al prof. Enzo Spaltro, psicologo del lavoro, poeta, e
fondamentalmente uomo libero, che ha vissuto e vive al di fuori delle
convenzioni e degli apparati. Egli si è speso nell'insegnamento e nella
formazione per affermare alcune idee, e quelle che si trovano in questo scritto
sono a lui profondamente debitrici.
(IDEA RICERCA, Napoli, 2006 -
anno 2, n°2- pagina 63)
Bibliografia:
Enzo Spaltro, Qualità, Patron Editore (Bologna, 1995)
Enzo Spaltro, La forza di fare
le cose, Pendragon Editore (Bologna, 2003)
Enzo Spaltro, La buona scuola, La penna d’oca (Napoli,
1997)
Aladino Tognon, Gli orizzonti del benessere: progettare
qualità a scuola, La pena d’oca (Napoli, 1996)
Don Lorenzo Milani, Lettera ad una professoressa, Libreria
scientifica fiorentina (Firenze, 1967)
Postic, La relazione educativa, Armando Editore (Roma)
J.Luft, Introduzione alle dinamiche di gruppo, La nuova Italia (1984)
F.Frabboni – F.Montanari, Lara:
nuove abilità relazionali nell’avventura scolastica, Franco Angeli (Milano,
2002)
E.Jaques, L’organizzazione indispensabile, Guerini e Associati (Milano, 1991)
L.Amovilli, Imparate ad imparare, Patron Editore (Bologna, 1994)
J.L.Borges, Altre inquisizioni, Mondadori (Milano, 1974)
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