racconto
• Uscito su
Fam- Frenulo a mano_Rivista di letteratura
[Questo racconto dovrebbe essere letto dopo aver
inquadrato le vicende storiche che fanno da sfondo. Tali vicende si svolsero
negli ultimi anni del secolo scorso. Allora esisteva ancora la Cecoslovacchia.]
1.
Il volo era stato abbastanza normale. Appena mise piede
sul suolo americano, Philip, che di cognome faceva R., compose febbrilmente il
numero di una delle sue tre amanti. Nella concitazione, perché nel frattempo
era intervenuta un'erezione, imbrogliò nella mente la sequenza e alla fine
tastò un ibrido composto da cifre che appartenevano a numeri diversi con
l'aggiunta di qualcuno a caso. Rispose Marilyn, l'amante numero due.
La sua fortuna con le donne passava anche per episodi
così piccoli e strani.
Dopo aver fatto l'amore con Marilyn, stancamente Philip
si stava rivestendo.
"Sai ho incontrato tua moglie", disse lei mentre
raccoglieva una calza da terra.
"No, per favore, non me ne parlare, tra mezz'ora
dovrò incontrarla", rispose lui aggiustandosi la cravatta.
Mezz'ora dopo, "ciao cara, il viaggio è stato lungo
e stancante...".
Philip, che tornava da Praga, aveva lasciato in quella
stupenda città il suo amico scrittore Igor K., il quale nello stesso momento si
stava grattando i folti capelli, per la verità un po’ sporchi, e guardava lo
schermo bianco di un computer. I suoi pensieri erano tutti per la situazione
politica del suo paese. Chiamò sua moglie che lavorava nell'altra stanza. La
moglie stava alla sua macchina da scrivere portatile, e trascriveva il caso di
una donna cinquantenne che era stata sedotta da un quindicenne. Era
un'analista, e in verità non sappiamo se il caso in questione le fosse
veramente capitato o si trattava di una sua invenzione. Fatto sta che il marito
Igor la chiamò mentre sul foglio si potevano leggere queste testuali parole,
"e allora lui mi ha esso la mano sul ginocchio e all'improvviso la vista
mi si è annebbiata".
Qui però, è bene dirlo, non conosceremo il seguito di
questo caso perché gli eventi del racconto prenderanno una piega diversa.
"Perdio non riesco a scrivere", disse Igor.
"E certo, come si fa scrivere mentre il nostro paese sta
attraversando una crisi così drammatica e imprevedibile", disse la moglie.
Come mi capisci sempre, disse lui, o forse non lo disse
ma non ha nessuna importanza perché era vero e poi lo aveva pensato.
"Ecco, ecco, vedi, io mi sembra che stia perdendo
tempo. Star qui a scrivere mentre forse ci vorrebbe una mano, che so..." e
stette un po' zitto. Poi continuò a parlare, mi sembra di tradire il mio paese
se solo penso ad altro, disse, se solo mi metto a pensare al mio racconto che
non riesco a finire, se per un attimo non sono concentrato su quello che sta
succedendo fuori di qui, al parlamento. La moglie lo ascoltava silenziosa.
Sapeva bene quando doveva intervenire e quando no (era pur sempre un'analista).
Poi fu sempre lui a continuare, ho deciso di non
scrivere fin quando non cambieranno le cose in Cecoslovacchia, disse, e la
moglie questa volta stava per parlare ma lui la interruppe bruscamente dicendo
che aveva voglia di scendere per fare una passeggiata, voleva calmarsi. La
moglie, comprensiva, tornò alla sua macchina da scrivere, e lui appena in
strada telefonò alla sua amante. Daria gli disse di venire, lui con la voce
grave rispose "vengo". La raggiunse in una stanzetta stretta e buia
dove lei faceva finta di fare la scultrice e fecero l'amore per sei volte di
seguito. Che forza questi Cechi.
2.
Io... io... io...
piango. Non so cosa mi stia succedendo, e pensare che quando stavo in America
(sei mesi) mi commuovevo appena sentivo la sua voce. La voce di chi? La voce di
mia moglie naturalmente, ma ora, ora mi sembra di tradirla ogni volta che apre
la bocca, non solo quando sto a letto con Daria.
Mia moglie quando
fa l'amore è come un fiume lento e sonnacchioso, corposo e riposante, scorre
lentamente e ti lascia dentro il sapore delle cose ben fatte.
Come mi possono
venire in mente delle immagini così mentre la sto tradendo attimo per attimo,
me lo chiedo io stesso e non so trovare una risposta. Forse la amo, stamattina
le ho portato un garofano rosso mentre stava al lavoro. Sono salito sopra il
suo studio, mi sono seduto e lei ha preso il fiore e lo ha messo in un
bicchiere con l'acqua. Non c'è stato bisogno di aggiungere altro. Avevo l'idea
di fare l'amore con lei sulla scrivania mentre nell'altra stanza la attendevano
i suoi pazienti, ma me ne sono stato zitto. Sicuramente avrebbe accettato, ma
forse più per farmi piacere che per altro. Me ne sono tornato al mio lavoro, al
mio romanzo.
3.
Daria porta sempre
i jeans, e il rumore della cerniera lampo che si apre, cioè quando gliela apro,
mi fa venire in mente un viaggio in treno che feci con mia madre quando ero
molto piccolo. Mi ricordo che mi piaceva il rumore di ferro delle rotaie ma non
sapevo dove mia madre mi stesse conducendo. Per un attimo pensai che stesse
portandomi in qualche collegio.
Igor, appena pensato questo pensiero, diventò contento
perché si disse che pensieri così possono venire solo agli scrittori, e lui si
sentiva uno scrittore. Peccato però per la situazione politica del paese...
come si fa prenderla a cuor leggero?
Con Daria comunque non parlava mai di politica, era un
patto che avevano fatto all'inizio del loro rapporto. Lei diceva che la
politica la stancava, tutto qui.
Philip, nei giorni immediatamente seguenti al suo
ritorno dalla Cecoslovacchia, scrisse un lungo articolo su quella esperienza e
subito alcune riviste, appena lui telefonò, gli offrirono molti dollari.
Naturalmente lo vendette alla rivista che gli offrì di più (con l'anticipo di
tutti i diritti d'autore per eventuali traduzioni all'estero). La sera
festeggiò con Miriam, la sua amante numero quattro. Quattro nel senso che
l'aveva conosciuta il giorno prima quando lei era venuta a fargli un'intervista
sul tema "il mistero dello scrittore" per un giornaletto locale. La
portò in un suo locale preferito dove aveva in serbo un séparé per gli occhi indiscreti si
capisce, e lì prima mangiarono e poi salirono in camera. Del resto cos'altro
avrebbero potuto fare?
4.
Daria una notte sognò un fiorino ungherese (una moneta
piccola e leggera, quasi inconsistente). Il cerchietto metallico diventava
sempre più grande fino a raggiungere le dimensioni di un disco volante, poi
partiva dal tavolo dove era appoggiato e la raggiungeva giusto in fronte. Nella
scena seguente lei si vedeva stesa a terra, senza sensi. Appena sveglia
telefonò a Igor e gli disse senza mezzi termini, "non voglio vederti mai
più perché non sai scegliere tra tua moglie e me".
Per Igor iniziò un lungo periodo di angoscia. Non gli
riusciva di stare seduto, e si sa, uno scrittore sempre in piedi è un po' un
controsenso .
Mi venne una
grossa paura, sentivo delle voci stupide che mi dicevano "non sarai mai
più uno scrittore" e poi sghignazzavano "eh, eh, eh, eh, eh.".
Per distrarmi e mettere a tacere queste voci decisi che avrei fatto un lavoro
manuale. Fu così che diventai uno spazzacamini (plurale).
Beh, il lavoro non
è che fosse cattivo, passavo la giornata con persone che non sapevano neanche
lontanamente chi ero, e ogni volta che attraversavo la città passando dalle
parti di Daria, vestito con una tuta grigia e la faccia piena di fuliggine, due
lacrime mi scendevano dagli occhi (e da dove se no?) lasciandomi sulle guance
delle strisce che sembravo un pierrot. Quello fu veramente un brutto periodo.
5.
Quando Philip seppe che Igor si era dato ai lavori
manuali, e senza che nessuno più o meno lo avesse costretto, passò tutta la
notte a non dormirci sopra. Camminava avanti e indietro mentre Jennifer dormiva
beata nel lettone e non sentiva neanche lontanamente il rumore d'inferno che
facevano le sue ciabatte, aveva i tappi nelle orecchie. Era successo questo.
Philip aveva ricevuto la telefonata di un comune amico Praghese: "Sai,
Igor da una settimana pulisce i camini con una squadra del comune..."
"No."
"Sì."
"Ma lo hanno costretto?"
"No. Ci è andato di sua spontanea volontà."
Mi ero messo
subito al telefono per cercarlo ma le linee intercontinentali erano intasate e
allora per non arrabbiarmi ancora di più avevo telefonato a Jennifer. Avevo
subito concordato che avremmo passato la notte insieme, e così ci eravamo visti
nella nostra solita camera d'albergo. Ormai con mia moglie non c'era neanche
bisogno di trovare scuse, uscivo dicendo stasera non rientro.
Jennifer ha il
potere di farmi dimenticare tutto quello che mi angustia. E ci riuscì benissimo
per le due -- tre ore buone in cui facemmo l'amore. (Che forza
questi americani).
Poi però mi
ritornò il pensiero e l'angoscia per Igor, per quello che aveva fatto e non
riuscii più a dormire.
6.
Kafka non era uno scrittore politico! Che bella
scoperta. No, non voglio dir questo, voglio dire che le
sue profezie sul sistema poliziesco che si sarebbe instaurato a pochi anni dai suoi scritti, qui, in questo paese, non erano profezie, ma la dimostrazione di come un autore che esprime le proprie esperienze personali in modo profondo e sincero riesca anche a toccare la sfera sociale. Beh, allora vuoi dire che è stato un caso fortunato se le idee di Kafka si sono rivelate giuste durante il comunismo? No, non proprio. Sai, al di là dei regimi che vanno e vengono, per uno come Kafka, con la sua quasi morbosa voglia di sincerità, tutti i regimi possono avere lo stesso effetto. Ecco, qui sono perfettamente d'accordo con te, io credo che Kafka non riuscisse proprio ad adeguarsi alla realtà, per quanti sforzi facesse, non ci riusciva in nessun modo, la sua voglia di sposarsi, avere una vita normale, fare l'amore, era qualcosa di irraggiungibile, la sua realtà era la paura, il sentirsi braccato, inadeguato a tutto se non allo scrivere.
sue profezie sul sistema poliziesco che si sarebbe instaurato a pochi anni dai suoi scritti, qui, in questo paese, non erano profezie, ma la dimostrazione di come un autore che esprime le proprie esperienze personali in modo profondo e sincero riesca anche a toccare la sfera sociale. Beh, allora vuoi dire che è stato un caso fortunato se le idee di Kafka si sono rivelate giuste durante il comunismo? No, non proprio. Sai, al di là dei regimi che vanno e vengono, per uno come Kafka, con la sua quasi morbosa voglia di sincerità, tutti i regimi possono avere lo stesso effetto. Ecco, qui sono perfettamente d'accordo con te, io credo che Kafka non riuscisse proprio ad adeguarsi alla realtà, per quanti sforzi facesse, non ci riusciva in nessun modo, la sua voglia di sposarsi, avere una vita normale, fare l'amore, era qualcosa di irraggiungibile, la sua realtà era la paura, il sentirsi braccato, inadeguato a tutto se non allo scrivere.
Questo discorso, più o meno ovvio e banale per gli
intenditori di Kafka, se lo facevano davanti ad un boccale di birra due uomini
in tuta blu con le mani e la faccia sporca di fuliggine. Uno era Igor che come
sappiamo stando in crisi con Daria, la sua amante, si era dato ai lavori
manuali; l'altro era W. che nonostante fosse un famoso filosofo, osannato in
più parti del mondo, aveva deciso di fare lo spazzacamini per noia, si era stancato
di parlare sempre con le solite persone. Una mattina mentre stavano andando con
tutta la squadra a pulire i camini di un caseggiato poco distante dal centro,
affondando i piedi nella neve alta una ventina di centimetri, Igor per
scaldarsi si era messo a saltellare. W. che gli stava proprio dietro aveva
raccolto un piccolo quaderno caduto dalla tasca di Igor, e prima di darglielo
aveva sbirciato le prima pagine. Insomma aveva capito che il compagno di lavoro
era un filosofo e si era arrabbiato molto dicendo a se stesso "anche qui,
non è possibile". Poi un poco si era calmato quando aveva capito che era
solo uno scrittore. In breve, diventarono amici. Di mattina cercavano di
capitare sempre nella stessa squadra, pulivano gli stessi camini, si sporcavano
della stessa fuliggine e andavano a bere insieme birra ogni paio d'ore, nelle
pause di lavoro.
Riuscirono a parlare solo di Kafka perché gli eventi
rapidamente presero una piega diversa.
Una mattina che W.
non era venuto al lavoro, mi venne una voglia tremenda di sentire la voce di
Daria. Per caso ero vicino a una cabina telefonica.
Dopo dieci minuti
ero al deposito che ritiravo la mia giacca a vento, mettevo in una busta di
plastica la tuta fuligginosa che buttai nel cassonetto dell'immondizia, e presi
il tram numero cinque che, per chi non lo sapesse, porta direttamente allo
studio di Daria. Così finì la mia esperienza di spazzacamini, per sempre.
W. invece il giorno dopo tornò regolarmente al lavoro,
aveva avuto il mal di gola, e cercò con gli occhi Igor ma non lo trovò. ( Che bello pensai, oggi non parlerò di Kafka. Dopo
un paio di giorni vedendo che Ivan non tornava mi sentii liberato da un peso, e
finalmente potei continuare a parlare di casi più comuni con i miei compagni di
lavoro).
La sera W., a casa, prese il suo quaderno di appunti e
sbarrò con una linea la paginetta scritta pochi giorni prima che aveva come
titolo, "Nel paese delle meraviglie.". Naturalmente scritto in ceco.
Si dice, ma non possiamo assicurarvi, che faccia ancora
lo spazzacamini, pur continuando ad avere un grosso successo come filosofo.
7.
Joan lo chiamò che lui stava seduto sulla tazza, nel
bagno. Philip appena sentì il telefono e sapendo di essere solo in casa
imprecò, "in questa casa non si riesce a fare neanche una cagata... in
grazia di Dio...", ma sentita la voce si calmò. Joan, la sua Joan, voleva
solo salutarlo, e così subito poté continuare a impegnarsi in quello che aveva
interrotto. E mentre con enorme soddisfazione liberava il corpo, la mente lo
portò a qualche mese prima quando insieme a Joan aveva convinto una sua amica
intellettuale lesbica a fare un triangolo (si dice così!). Beh, non c'è molto da dire, se non che ad un certo
punto, ma sarà stato un attimo di distrazione, le vidi così bene fare l'amore
insieme, loro due, che pensai che cosa-cazzo ci faccio qua io? Voglio i miei
diritti, e tu, dico a te, stronza di una Joan, l'avevamo chiamata insieme, non
solo per te, capitoooo.
Poi ci accordammo
e tutto filò liscio fino alla prossima volta.
Igor aveva finito il saggio su Kafka, doveva solamente
correggerlo. Lo aveva finito nei ritagli di tempo quando non stava con Daria, e
aveva deciso di iniziarne uno su Kierkegaard. Gli venne in mente che forse per
discuterlo avrebbe dovuto fare, questa volta, un poco lo spazzino, ma gli
sembrò un'ipotesi troppo assurda. Comunque la vita scorreva, l'angoscia
continuava, il pennino della penna era sempre ben bagnato.
Successe così che un italiano, un certo Giorgio,
intellettuale anarco-mondano-trafficante, molto attento alle vicende dei paesi
dell'est, con un padre ricco, quindi senza problemi di moneta, telefonò a Igor
perché voleva intervistarlo. Stava facendo un libro inchiesta sugli
intellettuali che avevano subìto violenze dai nazisti. Igor quando era piccolo,
in quanto ebreo, era stato internato dai nazisti insieme ai genitori nel campo
di concentramento di Terezin.
In quel periodo Giorgio stava a Praga. Si conobbero su
una panchina del quartiere Mala Strana, poi per continuare il discorso Igor lo
invitò a casa sua, fregandosene di tutte le regole che avrebbero voluto il
contrario.
Tanto per non creare squilibri, Giorgio era ossessionato
dalle donne, si innamorava molto facilmente e perdeva completamente la testa.
Conobbe la moglie di Igor e si innamorò pazzamente di
lei.
Mi piaceva quel
suo modo calmo e fermo di ascoltare il marito quando parlava, e di guardare me,
fisso negli occhi, quando parlavo io. Io parlavo il ceco. Seppi da lei stessa
che faceva l'analista e andai a trovarla nel suo studio una mattina. Partii da
molto lontano e le prospettai strade arabescate condite con salsa piccante. Lei
abboccò facilmente, o così credetti io. Quando finimmo di fare l'amore, stavo
imbastendo un discorso trionfal-triste-politico-anarco(il mio
forte)-liberatorio, che lei mi stoppò subito.
"Senti belloccio, lascia perdere questi discorsi
vuoti a perdere ( disse proprio così ),
fila via e non farti più vedere. Avevo voglia di far l'amore perché
quell'intellettuale di mio marito non sta bene con la testa e a me non pensa,
tutto qui, avanti marsc...", e mi
buttò letteralmente via dal letto e dalla stanza.
Con Igor ci
vedemmo un'ultima volta. Mi disse che per la prefazione del libro avrebbe
potuto interessare il suo amico Philip R..
8.
Giorgio, inutile dirlo, si precipitò a *******, in
America, e in due giorni riuscì a farsi dare un appuntamento da Philip. C'è da
precisare che se si fosse chiamato Giorgia probabilmente ci avrebbe messo due
ore, ma questo è un altro discorso. La prima cosa che Philip gli chiese fu:
"come sta Igor, gli voglio molto bene a quello scapestrato".
Lo rassicurai sulle condizioni di salute di Igor,
non gli parlai né di sua moglie, né di altro. Mi affidò alle cure di Sarah, la
sua segretaria tuttofare. Dovevo insieme a lei concordare che tipo di testo
volevo, la lunghezza, lo schema, i punti decisivi e una specie di riassunto
delle interviste che si trovavano nel libro. Lavorammo per un'oretta buona, poi
Sarah si rivelò tuttofare anche per me. Da buon italiano la invitai a cena, e
lei accettò. Poi le dissi di portarmi in qualche posto. Cosa che lei fece. Alla
fine finii a dormire a casa sua nel suo letto.
Tutto si risolse in tre o quattro giorni. Il testo che
Philip aveva scritto andava una meraviglia per il libro di Giorgio, il quale
era alle stelle, non gli poteva capitare di meglio. Aveva conosciuto un sacco
di persone importanti, aveva avuto quello che voleva, si era innamorato e aveva
fatto l'amore... anche.
L'ultima sera Giorgio stava a cena in un ristorante con
Sarah, dovevano salutarsi. Dall'ingresso vide entrare una signora bionda che lo
affascinò all'istante. Vide che guardava verso il loro tavolo e poi alla fine
la vide avvicinarsi.
La signora parlò con Sarah, che le presentò Giorgio. La
bionda lo guardò con gli occhi fissi. Non
male questo italiano, ha l'espressione un po' deficiente, ma mi potrei
accontentare.
Quando andò a sedersi a un altro tavolo, Sarah gli disse
che quella era la moglie di Philip. Giorgio tirò un sospiro, sorrise con gli
occhi e si grattò il mento. La mattina dopo probabilmente non sarebbe ripartito.
Che forza questi italiani!
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