di Gino Candreva
Si può raccontare la storia della scuola parlando dei ministri
dell’Istruzione? A questa sfida si è sottoposto Di Lorenzo, insegnante di Udine
e collaboratore di vari siti specializzati, che ci accompagna nelle biografie e
nelle attività dei vari ministri che hanno occupato la sede ora in viale
Trastevere, da Francesco De Sanctis a Francesco Profumo. L’intento dell’autore
non è storico, ma piuttosto giornalistico; infatti la narrazione si concentra
sugli ultimi sedici anni. L’impressione che ne emerge è di uno sforzo perenne
quanto inutile, nel quale ogni ministro tenta inutilmente di imporre la propria
riforma inevitabilmente epocale, sempre la prima dopo quella di Gentile. Come
diceva De Sanctis, citato nell’introduzione di Enzo Spaltro, “chi parla di
scuola in Italia è condannato all’eternità”. In quest’eternità ci conducono le
pagine del libro, con uno sguardo disincantato, talvolta cinico, che sottolinea
la continuità della politica scolastica da Berlinguer a Profumo. Le grandi
riforme della scuola, che avevano segnato il dopoguerra, come l’istituzione
della scuola media unificata alla fine del 1962, o i nuovi programmi e la
rimodulazione della scuola elementare tra metà anni ottanta e il 1990, furono
accompagnate da un intenso dibattito pedagogico; i tentativi di ristrutturare
la scuola degli ultimi vent’anni sono stati quasi esclusivamente motivati da
ragioni di bilancio, di mercato o di pressioni esterne, in particolare del
Vaticano, della Confindustria e delle loro lobby in parlamento. Parallelamente,
alle riviste specializzate si sono sostituiti i talk show televisivi, la cui
frequentazione ha non di rado fatto risaltare una patetica ignoranza
ministeriale della materia. Del resto è nei ministri della Pubblica istruzione
che si specchia la visione della società della classe dirigente. Il discorso
pubblico nei primi quarant’anni del dopoguerra si concentrava sulle esigenze
educative e formative degli studenti e sulle necessità della scuola di fornire
un adeguato bagaglio di conoscenze e competenze idoneo ad affrontare un futuro
che si immaginava di crescita e di miglioramento costante. Negli ultimi
vent’anni, invece, si è inaridita la visione di una società più democratica e
solidale per lasciare posto all’ideologia della riduzione delle opportunità e,
di conseguenza, a una più feroce concorrenza; tuttavia i protagonisti attivi,
dagli insegnanti ai dirigenti ai genitori agli impiegati, hanno continuato a
credere a una missione che i vari ministri tentavano di snaturare, e hanno
continuato a collaborare considerando loro compito istituzionale la formazione
di cittadini attivi e consapevoli: la scuola, nelle sue componenti, si dimostra
inequivocabilmente più avanti di chi la governa. Si pensi all’annosa questione
degli stipendi degli insegnanti: da Berlinguer all’avvocato Gelmini, si sono
inventati i più fantasiosi espedienti per scatenare una guerra tra poveri allo
scopo di accaparrarsi le poche risorse messe a disposizione; tutti respinti
dalla categoria, dal concorsone all’autovalutazione degli insegnanti da parte
degli istituti. O alla questione del
bullismo, esplosa nei media nell’autunno del 2006 e che i ministri Fioroni prima e Gelmini poi hanno cercato di contrastare con misure esclusivamente mediatiche, dalla proibizione dell’uso dei telefonini al cinque in condotta, o con la pasticciata introduzione di una nuova materia, “Cittadinanza e Costituzione”, ma senza mettere in campo una risorsa in più che aiutasse le buone pratiche di integrazione dei più deboli consolidate e già adottate da migliaia di scuole italiane. Anzi, l’avvocato di Brescia aveva innalzato il tetto a 33 alunni per classe, in una nazione dove solo il 45 per cento degli edifici possiede il certificato di agibilità statica (se si considerano anche l’abilità igienico-sanitaria e di prevenzione incendi, siamo al 34 per cento) e aveva pensato a classi differenziali per gli alunni stranieri. Il quadro che emerge è desolante e la sentenza senza appello: i ministri succedutisi negli ultimi vent’anni hanno lavorato contro la scuola e la sua autonomia progettuale, si sono abbandonati a un’opera di ingegneria istituzionale di stampo aziendalistico per snaturarne il mandato costituzionale e ridurne le potenzialità, hanno cercato di soddisfare le richieste dei vari agenti sociali che se ne vogliono impadronire, dalle gerarchie ecclesiastiche, mediante il finanziamento alle scuole private, la parità, l’assunzione degli insegnanti di religione, alla Confindustria, subordinando l’organizzazione scolastica alle esigenze del mercato. E, infine, la scuola ha costituito il salvadanaio per ripianare il debito pubblico, mediante la sottrazione di risorse destinate agli edifici, alle strutture e agli impianti, perfino alla cancelleria, oltre al blocco degli stipendi che dura ormai da cinque anni. Ma, a dispetto dei suoi ministri, la scuola vive e resiste.
Francesco Di Lorenzo
MINISTRI
PUBBLICA ISTRUZIONE
pp. 316, € 15,
Uppress, Bologna 2012
bullismo, esplosa nei media nell’autunno del 2006 e che i ministri Fioroni prima e Gelmini poi hanno cercato di contrastare con misure esclusivamente mediatiche, dalla proibizione dell’uso dei telefonini al cinque in condotta, o con la pasticciata introduzione di una nuova materia, “Cittadinanza e Costituzione”, ma senza mettere in campo una risorsa in più che aiutasse le buone pratiche di integrazione dei più deboli consolidate e già adottate da migliaia di scuole italiane. Anzi, l’avvocato di Brescia aveva innalzato il tetto a 33 alunni per classe, in una nazione dove solo il 45 per cento degli edifici possiede il certificato di agibilità statica (se si considerano anche l’abilità igienico-sanitaria e di prevenzione incendi, siamo al 34 per cento) e aveva pensato a classi differenziali per gli alunni stranieri. Il quadro che emerge è desolante e la sentenza senza appello: i ministri succedutisi negli ultimi vent’anni hanno lavorato contro la scuola e la sua autonomia progettuale, si sono abbandonati a un’opera di ingegneria istituzionale di stampo aziendalistico per snaturarne il mandato costituzionale e ridurne le potenzialità, hanno cercato di soddisfare le richieste dei vari agenti sociali che se ne vogliono impadronire, dalle gerarchie ecclesiastiche, mediante il finanziamento alle scuole private, la parità, l’assunzione degli insegnanti di religione, alla Confindustria, subordinando l’organizzazione scolastica alle esigenze del mercato. E, infine, la scuola ha costituito il salvadanaio per ripianare il debito pubblico, mediante la sottrazione di risorse destinate agli edifici, alle strutture e agli impianti, perfino alla cancelleria, oltre al blocco degli stipendi che dura ormai da cinque anni. Ma, a dispetto dei suoi ministri, la scuola vive e resiste.
gino001@gmail.com
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