MINISTRI - recensione su L’Indice dei Libri del Mese, ottobre 2012 – n° 10

di Gino Candreva




Francesco Di Lorenzo

MINISTRI

PUBBLICA ISTRUZIONE
pp. 316, 15,
Uppress, Bologna 2012

Si può raccontare la storia della scuola parlando dei ministri dell’Istruzione? A questa sfida si è sottoposto Di Lorenzo, insegnante di Udine e collaboratore di vari siti specializzati, che ci accompagna nelle biografie e nelle attività dei vari ministri che hanno occupato la sede ora in viale Trastevere, da Francesco De Sanctis a Francesco Profumo. L’intento dell’autore non è storico, ma piuttosto giornalistico; infatti la narrazione si concentra sugli ultimi sedici anni. L’impressione che ne emerge è di uno sforzo perenne quanto inutile, nel quale ogni ministro tenta inutilmente di imporre la propria riforma inevitabilmente epocale, sempre la prima dopo quella di Gentile. Come diceva De Sanctis, citato nell’introduzione di Enzo Spaltro, “chi parla di scuola in Italia è condannato all’eternità”. In quest’eternità ci conducono le pagine del libro, con uno sguardo disincantato, talvolta cinico, che sottolinea la continuità della politica scolastica da Berlinguer a Profumo. Le grandi riforme della scuola, che avevano segnato il dopoguerra, come l’istituzione della scuola media unificata alla fine del 1962, o i nuovi programmi e la rimodulazione della scuola elementare tra metà anni ottanta e il 1990, furono accompagnate da un intenso dibattito pedagogico; i tentativi di ristrutturare la scuola degli ultimi vent’anni sono stati quasi esclusivamente motivati da ragioni di bilancio, di mercato o di pressioni esterne, in particolare del Vaticano, della Confindustria e delle loro lobby in parlamento. Parallelamente, alle riviste specializzate si sono sostituiti i talk show televisivi, la cui frequentazione ha non di rado fatto risaltare una patetica ignoranza ministeriale della materia. Del resto è nei ministri della Pubblica istruzione che si specchia la visione della società della classe dirigente. Il discorso pubblico nei primi quarant’anni del dopoguerra si concentrava sulle esigenze educative e formative degli studenti e sulle necessità della scuola di fornire un adeguato bagaglio di conoscenze e competenze idoneo ad affrontare un futuro che si immaginava di crescita e di miglioramento costante. Negli ultimi vent’anni, invece, si è inaridita la visione di una società più democratica e solidale per lasciare posto all’ideologia della riduzione delle opportunità e, di conseguenza, a una più feroce concorrenza; tuttavia i protagonisti attivi, dagli insegnanti ai dirigenti ai genitori agli impiegati, hanno continuato a credere a una missione che i vari ministri tentavano di snaturare, e hanno continuato a collaborare considerando loro compito istituzionale la formazione di cittadini attivi e consapevoli: la scuola, nelle sue componenti, si dimostra inequivocabilmente più avanti di chi la governa. Si pensi all’annosa questione degli stipendi degli insegnanti: da Berlinguer all’avvocato Gelmini, si sono inventati i più fantasiosi espedienti per scatenare una guerra tra poveri allo scopo di accaparrarsi le poche risorse messe a disposizione; tutti respinti dalla categoria, dal concorsone all’autovalutazione degli insegnanti da parte degli istituti. O alla questione del
bullismo, esplosa nei media nell’autunno del 2006 e che i ministri Fioroni prima e Gelmini poi hanno cercato di contrastare con misure esclusivamente mediatiche, dalla proibizione dell’uso dei telefonini al cinque in condotta, o con la pasticciata introduzione di una nuova materia, “Cittadinanza e Costituzione”, ma senza mettere in campo una risorsa in più che aiutasse le buone pratiche di integrazione dei più deboli consolidate e già adottate da migliaia di scuole italiane. Anzi, l’avvocato di Brescia aveva innalzato il tetto a 33 alunni per classe, in una nazione dove solo il 45 per cento degli edifici possiede il certificato di agibilità statica (se si considerano anche l’abilità igienico-sanitaria e di prevenzione incendi, siamo al 34 per cento) e aveva pensato a classi differenziali per gli alunni stranieri. Il quadro che emerge è desolante e la sentenza senza appello: i ministri succedutisi negli ultimi vent’anni hanno lavorato contro la scuola e la sua autonomia progettuale, si sono abbandonati a un’opera di ingegneria istituzionale di stampo aziendalistico per snaturarne il mandato costituzionale e ridurne le potenzialità, hanno cercato di soddisfare le richieste dei vari agenti sociali che se ne vogliono impadronire, dalle gerarchie ecclesiastiche, mediante il finanziamento alle scuole private, la parità, l’assunzione degli insegnanti di religione, alla Confindustria, subordinando l’organizzazione scolastica alle esigenze del mercato. E, infine, la scuola ha costituito il salvadanaio per ripianare il debito pubblico, mediante la sottrazione di risorse destinate agli edifici, alle strutture e agli impianti, perfino alla cancelleria, oltre al blocco degli stipendi che dura ormai da cinque anni. Ma, a dispetto dei suoi ministri, la scuola vive e resiste.


gino001@gmail.com

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