racconto
Si era nei primi anni
ottanta e Pasquale, la sera, quando saliva sul partito in via Gramsci, aveva
sempre in tasca due giornali: l’Unità e Paese Sera. Uno lo comprava di mattina
e uno di sera. Li comprava in quest’ordine: l’Unità, nel prendere la vesuviana
per andare al lavoro; Paese Sera, quando usciva dal turno all’ATAN.
A chi gli chiedeva, Pascà,
ma che devi fare con due giornali? lui rispondeva serio che li comprava per
sostenere la stampa del partito. Pascale ‘o comunista, in pratica, finanziava
così il suo partito. A dirlo adesso, eppure è passato solo qualche anno, sembra
una barzelletta, con tutto quello che si legge sui contributi ai partiti e su
come vengono spesi. Lui, dopo una vita di duro lavoro, a spaccarsi la schiena
prima in campagna e poi da muratore, ormai lavorava all’ATAN, aveva il suo
‘posto’ sicuro e se lo poteva permettere. Anzi, se lo voleva permettere. Voleva
permettersi di contribuire a finanziare il partito che sentiva suo. Era anche
una forma di ringraziamento alla vita che gli aveva dato anche questa
possibilità, questa inaspettata opportunità. Alla fine, il bello era che quei
giornali se li leggeva pure, da cima a fondo. Per appagare il suo bisogno di
sapere, per essere sempre ben informato. Per spiegare meglio agli altri,
per intervenire in ogni occasione possibile.
E a proposito di
interventi, Pasquale, in qualsiasi momento – e quindi anche nelle occasioni
pubbliche – aveva sempre in faccia il suo indimenticabile sorriso bonario.
Se pure la discussione di
questioni importanti lo portava ad essere arrabbiato, dopo un minuto la rabbia
si scioglieva in un sorriso. Non era capace di infierire sugli altri, e il
profitto era fuori dal suo orizzonte mentale. Gli avversari politici
lo rispettavano perché si sentivano rispettati.
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